Nel 2025, a dieci anni dall’Agenda ONU 2030, il bilancio resta allarmante. Nel mondo, ogni anno, si butta via un terzo della produzione complessiva: 1,05 miliardi di tonnellate di cibo. Questo paradosso non è solo etico, ma anche ambientale ed economico. Lo spreco è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra (cinque volte quelle dell’aviazione), e comporta l’uso del 28% dei terreni agricoli e di un quarto dell’acqua dolce impiegata in agricoltura. In pratica, coltiviamo e irrighiamo campi per produrre alimenti che non verranno mai mangiati
Il caso Italia: miglioramenti insufficienti
In Italia il fenomeno mostra segnali di riduzione, ma la meta è lontana. Secondo i dati dell’Osservatorio Waste Watcher International, lo spreco domestico settimanale è sceso da 650 grammi nel 2015 a 555,8 grammi nel 2025: un miglioramento di circa 95 grammi in dieci anni. L’obiettivo fissato dall’ONU è però dimezzare le perdite entro il 2030, e questo significa scendere a 369,7 grammi: un traguardo ancora ben distante.
Sul fronte politico, l’Unione europea ha scelto di abbassare l’asticella. La nuova direttiva approvata il 9 settembre 2025 limita l’obiettivo di riduzione a −30% entro il 2030 per il consumo domestico, la ristorazione e il retail, e −10% per la trasformazione industriale. Viene di fatto escluso il tema delle perdite in campo e post-raccolta, che rappresentano una quota significativa. Una mossa che ridimensiona l’ambizione rispetto all’Agenda ONU, che invece chiede un dimezzamento dello spreco lungo tutta la filiera.
L’effetto crisi
Mentre l’Europa frena i consumatori accelerano. Il contesto economico e geopolitico sta modificando le scelte degli italiani. L’inflazione sui generi alimentari (+3,7% nell’estate 2025) ha spinto le famiglie ad acquisti più oculati. Le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, unite alle tensioni sui dazi, hanno rafforzato la propensione a comprare prodotti Made in Italy: lo fa il 37% dei cittadini. Uno su cinque privilegia alimenti locali o a chilometro zero, mentre un 10% si orienta solo sul prezzo, scegliendo i prodotti più economici. Parallelamente, due italiani su tre dichiarano di aver aumentato o mantenuto molto alta l’attenzione all’ambiente.
Anche la crisi climatica influisce: l’estate segnata da temperature eccezionalmente elevate ha spinto quasi la metà della popolazione (45%) a consumare prima gli alimenti deperibili, e un quinto a comprare più spesso prodotti a lunga conservazione. Solo il 14% ha detto di non aver modificato le proprie abitudini.
La generazione Z, campione antispreco
Tra i protagonisti del cambiamento spicca la Generazione Z, circa nove milioni di giovani italiani. I nativi digitali mostrano comportamenti più virtuosi rispetto alla media: riutilizzano gli avanzi (+10%), li condividono con parenti e amici (+5%), portano a casa ciò che resta al ristorante (+6%) e comprano frutta e verdura di stagione (+2%). La loro forza è anche nella creatività digitale, che consente di diffondere ricette antispreco e costruire reti di condivisione. Per Andrea Segrè, direttore scientifico di Waste Watcher International, “la Gen Z è un vero motore di sostenibilità: il loro approccio può contagiare le generazioni meno digitali e spingere politiche pubbliche più efficaci”.
Ridurre lo spreco non è una missione impossibile. Gli italiani già oggi dichiarano, per il 95%, di fare attenzione a non buttare via il cibo, e il 59% si definisce “attentissimo”. Strumenti semplici, come la lista della spesa, la pianificazione dei pasti o il congelamento degli alimenti in eccesso, possono ridurre drasticamente i rifiuti domestici. La app Sprecometro, con oltre 21.000 utenti, ha già permesso di monitorare 40 tonnellate di cibo sprecato, pari a 80.000 pasti: un segnale che la tecnologia può diventare alleata concreta delle buone pratiche.
Oltre a pesare sulle tasche delle famiglie, gettare via il cibo comporta lo spreco di terra, acqua ed energia. Ogni tonnellata di alimenti sprecati produce circa 260.000 kg di CO₂ (l’equivalente di 1.700 voli aerei nazionali), consuma 15.000 metri cubi di acqua (pari a sei piscine olimpioniche) e occupa inutilmente 270.000 metri quadrati di suolo (40 campi di calcio).
Dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 non è dunque un dettaglio secondario delle politiche ambientali, ma un tassello fondamentale per affrontare insieme crisi climatica, ingiustizie sociali e sicurezza alimentare.