27 Luglio 2024
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Esteri, Salute

Telemedicina, un progresso condiviso per accrescere l’Africa

Annullare le distanze con la telemedicina, per agevolare i Paesi in via di sviluppo, diventa un modello internazionale con 40.000 teleconsulti e 12 anni di attività in Africa. Tempi maturi per il programma di sanità del Piano Mattei di includere nel teleconsulto Paesi e strutture sanitarie africane. Un vantaggio, ma anche un modo di fare formazione continua.

Come si potrebbe legare lo sviluppo del servizio di telemedicina al Piano Mattei? La connessione e la provocazione, forse troppo ambiziosa, nascono da un’esperienza più che decennale. La Global Health Telemedicine e la Comunità di Sant’Egidio, solo per fare un esempio, già usano questo servizio di cooperazione a distanza collegando oggi 49 centri sanitari africani di 14 Paesi con circa 200 medici specialisti volontari italiani. È un programma che permette di refertare elettrocardiogrammi, elettroencefalogrammi, immagini radiologiche a distanza. E che ad oggi ha all’attivo più di 40.000 teleconsulti. La rete, che oggi è divenuta un modello internazionale, è stata creata in oltre 12 anni di attività, talvolta con risorse limitate, con donazioni di singoli, privati.

Ricordo che nel 2018, ben 3 centri di telemedicina in Malawi sono stati aperti grazie al contribuito di alcuni club rotariani di Roma, con il coinvolgimento del Rotary International. Anche da queste esperienze prende quindi spunto una piccola grande proposta: perché non includere nella rete di teleconsulto Hub-Spoke anche Paesi e Strutture Sanitarie africane? Non si tratterebbe solo di un servizio tale da garantire consigli clinici di tipo sanitario, ma sarebbe anche un modo di fare formazione continua e assicurare una vicinanza che oggi, grazie alla nuova tecnologia, è possibile. Sì, perché in ogni singolo teleconsulto si fa sempre una piccola opera di formazione al sanitario che chiede aiuto.

Oggi abbiamo già eccellenze in Italia che usano servizi di teleconsulto anche con l’Africa. E quindi perché non sognare che le piattaforme, che Agenas sta producendo, possano essere utilizzate anche per la formazione e la second opinion in molti Paesi africani? Utilizzare tali piattaforme, tra l’altro, potrebbe far crescere anche in Africa il business delle industrie che producono elettromedicali, Medical Device, di cui l’Italia è leader. Una cooperazione bidirezionale, per l’appunto, da pari a pari, che si può rivelare vantaggiosa per l’Italia e l’Africa. Insomma, in Italia le eccellenze in tal senso ci sono: alcune università, IRCCS, Aziende Ospedaliere, Società Scientifiche, Enti del Terzo Settore già usano appieno tali tecnologie. Forse i tempi sono maturi perché anche i progetti di telemedicina entrino appieno nel programma di sanità del Piano Mattei. C’è bisogno di un coinvolgimento attivo non solo dell’industria, che potrà comunque aprirsi a nuove frontiere di business anche con i Paesi africani, ma anche delle Università, delle Regioni, che, anche attraverso il Piano Mattei potranno avere una visione più internazionale. In un mondo globalizzato, la telemedicina può creare ponti di vicinanza e formazione. In un mondo dove si moltiplicano barriere e muri, forse abbiamo tutti più bisogno di ponti. Ponti di vicinanza, di sviluppo, di cooperazione.

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