Lo scorso febbraio, il Tribunale di Ancona ha emesso una sentenza nei confronti di due italiani accusati di aver importato illegalmente più di mille esemplari di cactus rari appartenenti al genere Copiapoa, originario del deserto di Atacama in Cile. Le pene inflitte sono state di 18 mesi di arresto e 25.000 euro di ammenda per uno degli imputati, e 12 mesi di arresto e 18.000 euro di ammenda per l’altro, con sospensione condizionale subordinata al pagamento di 20.000 euro all’Associazione per la Biodiversità e la sua Conservazione (ABC) entro 60 giorni dalla sentenza.
Un crimine contro la biodiversità
Il traffico illegale di piante rare rappresenta una grave minaccia per la biodiversità poiché le piante succulente, come quelle sequestrate nel caso di Ancona, svolgono ruoli cruciali negli ecosistemi aridi. Queste piante non sono infatti solo una componente del paesaggio naturale, ma rappresentano un ingranaggio essenziale per la sopravvivenza di molte altre specie. I cactus, ad esempio, forniscono rifugi e fonti di cibo per insetti impollinatori, piccoli mammiferi e uccelli. In alcuni habitat, la loro presenza contribuisce a creare un microclima più umido, aiutando la crescita di altre piante e prevenendo la desertificazione.
La rimozione indiscriminata di questi esemplari, spesso secolari, non solo priva l’ecosistema di una specie fondamentale, ma può anche innescare un processo di degrado e impoverimento irreversibile.
Un precedente legale significativo
La sentenza del Tribunale di Ancona rappresenta un passo avanti nella lotta contro i crimini ambientali. Riconoscendo il diritto delle associazioni ambientaliste, come l’ABC, a costituirsi parte civile e ottenere risarcimenti per il danno morale subito, si stabilisce un importante precedente. Questo approccio legale potrebbe incentivare una maggiore responsabilità e deterrenza nei confronti dei traffici illegali di specie protette, promuovendo la conservazione della biodiversità.