06.07.2024
Tutto il mondo è un Paese. Come Obama nel 2008, anche Starmer viene eletto per reazione alla crisi economica sofferta nel Regno Unito post Brexit. Una vittoria contro i tagli allo Stato sociale, graziata da una strategia avversaria tutta da rivedere. I cittadini avrebbero dato i propri voti a chiunque sembrasse in grado di battere i Tories.
Il laburista Keir Starmer è il primo ministro del Regno Unito. Dopo 14 anni di governi conservatori, il Regno Unito è pronto a voltare pagina “su tutto, tranne l’Ucraina”. La promessa corrisponde alla nettezza della sconfitta subita giovedì da Rishi Sunak e confermata, grazie al maggioritario puro, nel giro di poche ore dalla chiusura dei seggi. Grazie a questo, non vi sono dubbi di sorta e il vincitore Starmer ha già annunciato una lista dei ministri che rende manifesto il cambiamento. Dal ministro degli esteri David Lammy, che in passato ha definito “neo-nazista” Donald Trump, alla dichiarata ispirazione alle politiche economiche di Joe Biden del ministro delle Finanze Rachel Reeves, le differenze non potrebbero essere più evidenti.
Come Obama nel 2008, anche Starmer è stato eletto per reazione alla crisi economica che ha messo in ginocchio famiglie, piccole imprese e interi settori pubblici. Questa chiave di lettura emerge da tre numeri. Il primo è l’affluenza inferiore al 60%, la seconda più bassa dal 1918. Il secondo è la differenza tra i 411 seggi conquistati dai laburisti e i 121 dei conservatori: la più alta mai registrata in assoluto. Il terzo è il balzo dei liberaldemocratici, che con 71 seggi quasi decuplicano la propria delegazione a Westminster. Proprio perché i numeri catturano la doppia insoddisfazione per la politica in generale e per il governo in particolare, molti commentatori hanno notato come in termini di voto popolare la differenza sia molto inferiore a quella di seggi. Lo stesso Starmer, pur mantenendo il seggio, ha perso 17.000 voti. Ancora, la vittoria sarebbe scaturita più dall’abile sfruttamento del sistema maggioritario puro che non dalla preferenza per il Labour. In pratica, poiché per aggiudicarsi il seggio basta un solo voto di margine, senza quorum o ballottaggi, i cittadini avrebbero fatto convergere i propri voti su chiunque, nel proprio collegio, sembrasse più in grado di battere il candidato Tory. In altre parole, più la cacciata dei conservatori che l’incoronazione dei laburisti. E ancora, i cinque seggi conquistati dalla destra nazionalista di Reform UK, il partito lanciato pochi mesi fa dal padre della Brexit, Nigel Farage, sottorappresentano una posizione politica che con 4,1 milioni di consensi raccoglie a livello nazionale poco meno della metà dei 9,7 milioni di voti del Labor.
I laburisti avrebbero insomma stravinto in Parlamento, ma non convinto nel Paese. Sono osservazioni ragionevoli, ma che tendono a eludere la domanda di fondo: basta la Brexit a spiegare l’insoddisfazione? Il taglio dello stato sociale è una conseguenza della crisi economica indotta dall’uscita dal mercato unico europeo o è piuttosto il frutto di una politica che i Tories, allevati nell’esclusivo giro di scuole private e università prestigiose, avrebbero portato avanti comunque? Da oggi, la risposta spetta a Starmer. L’avvocato che ha bonificato il Labor dai massimalisti di Jeremy Corbyn, in odore di antisemitismo e putinismo, è chiamato per l’ennesima volta a dimostrare che le ricette socialdemocratiche sono più efficaci degli estremismi di destra e sinistra. Con l’inaudita potenza di fuoco di cui dispone, non potrà permettersi di sbagliare un colpo.