La scommessa di UltimaBozza, sottolineata dalla nuova veste grafica nata con la primavera, è tenere assieme i fatti. Il contrario – pensare in modo separato la cronaca, la politica, l’ambiente – è più semplice, ma può lasciare in ombra elementi essenziali. Si rischiano valutazioni sbagliate. E gli errori sono pericolosi perché lo scenario climatico e quello politico stanno subendo una pressione che lascia con il fiato sospeso.
Abbiamo buoni motivi per essere spaventati. Il sistema di alleanze che ha retto l’equilibrio mondiale per 80 anni vacilla e ha già subito cambiamenti irreversibili. Vedere il Cremlino e la Casa Bianca appoggiare all’unisono, nelle elezioni tedesche appena passate, il partito filonazista provoca una sensazione di estraniamento, come se fossimo precipitati in un sogno distopico dal quale non riusciamo a svegliarci.
Ma questa inedita convergenza ha un altro aspetto non meno surreale e spesso trascurato: il comportamento di Washington e di Mosca di fronte alla crisi climatica che ci sta togliendo giorno dopo giorno la sicurezza guadagnata in secoli. Gli scienziati ci scongiurano di abbattere le emissioni serra e i rappresentanti delle due maggiori potenze nucleari si fanno beffe di questi appelli.
Destabilizzazione climatica e destabilizzazione politica
Si potrebbe obiettare che il rumore dei carri armati sovrasta le preoccupazioni ambientali. Ma siamo sicuri che sia vero? Che tra la destabilizzazione climatica e quella politica non ci sia un nesso? Dietro l’attacco alle democrazie rappresentative e alla scienza climatica ci sono gli stessi gruppi di potere che hanno conquistato solide posizioni a Washington e a Mosca. E, guarda che strano, questi gruppi di potere hanno la green economy nel mirino. Al nazionalpopulismo il verde non piace, Trump e Putin preferiscono il color petrolio.
L’Europa è con le spalle al muro: da una parte la guerra commerciale di Trump, dall’altra la guerra sul campo di Putin. Eppure proprio quando la difficoltà è massima può maturare una motivazione profonda che accelera il cambiamento. Il Vecchio Continente è il più ampio mercato globale, ha un welfare migliore dei competitor, ha le capacità di ricerca e di produzione necessarie alla sfida, resta il posto più desiderabile in cui vivere (e dove si vive mediamente quattro anni in più che negli Stati Uniti).
Quello che manca è la coesione e la capacità di indirizzare Paesi e imprese con una visione di lungo periodo. Questo è il vero nodo da sciogliere. E, ancora una volta, affrontare il tema in maniera frammentata non aiuta. Ad esempio il dibattito sulla difesa europea rischia di dividere invece che di unire se non si guarda all’assieme delle esigenze del continente.
Che, di fronte al disimpegno di Washington, occorra avere maggiore capacità di difesa militare è ovvio. Il punto è come. Sul Corriere della sera Giuseppe Sarcina ha citato l’ambasciatore Alessandro Azzoni: “I ventisette Paesi Ue spendono per la difesa 220 miliardi di euro all’anno…una cifra che è pari al 32% della spesa di Washington, eppure i Paesi Ue non arrivano al 10% delle capacità militari americane”.
In ordine sparso
Andare avanti così, in ordine sparso, significa dunque spendere tre volte di più di quello che sarebbe necessario. E la somma di 27 eserciti resterebbe un assieme scarsamente coeso e dunque scarsamente efficiente. È per questo che su Domani, il filosofo Sergio Labate ha evidenziato come a dare maggior peso all’Europa può essere solo un passo avanti significativo nella cessione da parte degli Stati di una quota di potere all’Unione. La via indicata dal tanto spesso citato manifesto di Ventotene.
Inoltre se la richiesta di un rafforzamento dell’esercito europeo fosse finalizzata solo all’opposizione alla Russia, l’interesse dei vari Paesi sarebbe influenzato dalla vicinanza con quel confine. Mentre una proposta più larga potrebbe rafforzare il consenso e la coesione dell’Unione Europea.
Ed è la cronaca a mostrare in che senso è necessario allargare l’idea di difesa. Tra le esternazioni di Trump – il miglior supporter del rafforzamento dell’Unione Europea – c’è stata anche la richiesta alla Danimarca, oltre che della Groenlandia, di importanti forniture di uova. Eh sì perché, negli Stati Uniti che sbeffeggiano climatologi e virologi, l’aviaria la fa da padrona e il classico breakfast americano rischia di perdere un elemento centrale.
Dunque, se la minaccia di Putin è evidente e visibile, le probabilità di una nuova pandemia avanzano subdolamente, e cresceranno in funzione direttamente proporzionale alla nostra mancanza di risposta strutturale. Quattro anni fa, quando l’Europa è stata chiusa dal Covid, sembrava che tutte le risorse dovessero essere destinate alla difesa sanitaria: oggi le probabilità di una nuova pandemia determinata dal salto di specie di un virus non sono diminuite perché le cause (concentrazione di allevamenti intensivi, crisi climatica) non sono state rimosse, ma il rischio invece di diminuire aumenta perché i medici fuggono dagli ospedali italiani a secco di finanziamenti pubblici.
La difesa climatica
E della difesa climatica ci ricordiamo solo quando Valencia finisce sott’acqua o intere regioni in Italia vedono il raccolto cancellato dalla siccità. Più frequentemente di prima (perché la crisi climatica si aggrava), ma non abbastanza da convincere il governo italiano a varare un Piano climatico con obiettivi seri e un finanziamento reale.
Dunque occorre tenere assieme difesa militare, difesa economica, difesa sanitaria e difesa climatica, cioè costruire le basi di un saldo ecosistema Europa. Del resto questo è il senso del Rapporto Draghi del settembre 2024. Il rapporto suggerisce un piano di investimenti annuali di circa 800 miliardi di euro, equivalenti a circa il 4-5% del Pil dell’Unione Europea, per recuperare il ritardo in settori tecnologici avanzati come l’intelligenza artificiale e i semiconduttori; decarbonizzare il continente migliorando la competitività industriale; migliorare la sicurezza energetica riducendo la dipendenza da Paesi terzi; rafforzare la capacità di difesa. Non è un menu à la carte, non si può scegliere un singolo piatto: è un progetto complessivo, unitario. Per Draghi la capacità di deterrenza è parte di un più ampio rilancio della competitività dell’Unione Europea, della sua capacità di difendersi per difendere un modello di vita che vince perché è desiderabile.
Il 9 maggio si festeggia la Giornata dell’Europa: sarà l’occasione per fare un passo nella direzione giusta?