15 Luglio 2025
/ 14.07.2025

Usa: con la censura delle informazioni climatiche aumenta il rischio

Allarme tra gli esperti: senza accesso ai dati, sia per le persone che per le aziende e le amministrazioni cresce il pericolo di scelte sbagliate. “Quelle informazioni sono fondamentali per decidere dove costruire strade, come proteggere ospedali, come salvare vite”

Negli Stati Uniti il cambiamento climatico è scomparso dai radar. L’amministrazione Trump ha deciso di rimuovere dai siti web governativi i principali rapporti che lo documentano. Una scelta simbolica e al tempo stesso concreta, che rappresenta uno dei capitoli più preoccupanti di una strategia sistemica di smantellamento della politica ambientale federale.

Nei giorni scorsi, i National Climate Assesment – le valutazioni climatiche nazionali previste per legge dal 1990 – sono spariti dai portali ufficiali. Non solo i report, ma anche le piattaforme progettate per renderli accessibili, interattivi, utili ai cittadini, agli amministratori locali, ai sindaci, agli agricoltori, agli urbanisti. A tutti, insomma, a chiunque abbia bisogno di dati affidabili per pianificare il futuro in un Paese sempre più esposto a incendi, inondazioni, uragani e crisi idriche.

Da canto suo, la Casa Bianca ha assicurato che le informazioni saranno archiviate presso la Nasa. Peccato che la Nasa non confermi. E intanto le pagine web con quelle preziose informazioni rimangono inattive. Non solo: anche la Noaa, l’agenzia che storicamente ha coordinato i contenuti dei rapporti, non ha fornito alcun chiarimento.
In altri termini, siamo davanti a una sottrazione di conoscenza – o peggio, a una censura profondamente dannosa – che colpisce direttamente la capacità di risposta della società americana agli impatti climatici.

L’allarme tra gli esperti è alto. Per esempio, Kathy Jacobs, climatologa e coordinatrice della Valutazione 2014, ha commentato: “Se davvero la Valutazione Nazionale sul Clima non sarà più disponibile, è una grave manomissione dell’accesso ai fatti, e può aumentare il rischio per le persone”. E il suo allarme non è isolato: John Holdren, ex consulente scientifico della Casa Bianca sotto l’amministrazione Obama, ricorda come proprio quei documenti siano stati fondamentali per gli amministratori locali per decidere dove costruire strade, come proteggere ospedali, come salvare vite.

Ma non è tutto. Perché il governo Trump non solo ha interrotto la pubblicazione e la diffusione dei rapporti, ma ha anche comunicato agli scienziati volontari che da anni lavorano a titolo gratuito per il bene pubblico che i loro servizi non sono più necessari. E ha rescisso il contratto con l’azienda incaricata di mantenere online il sito ufficiale del programma. 

Non solo oscurantismo climatico

Non è un caso isolato. La stessa logica si trova per esempio nei numerosi ordini esecutivi firmati dal presidente statunitense in materia di energia e di ambiente. Ordini che hanno una narrazione segnata dalla volontà di un conflitto aperto: bisogna liberare l’economia dai regolamenti oppressivi; fermare gli eccessi ambientalisti; dichiarare l’urgenza di una crescita svincolata da vincoli ecologici.

Una retorica pro-business che trasforma la tutela ambientale in un ostacolo allo sviluppo e dipinge gli attivisti del clima come agenti di una minacciosa agenda globalista. E l’interesse nazionale, in questa impostazione, si identifica esclusivamente con la produzione industriale, i combustibili fossili, l’indipendenza energetica intesa come sfruttamento intensivo delle risorse interne. Mentre il cambiamento climatico, che minaccia coste, agricoltura, salute pubblica e sicurezza nazionale, viene rimosso dall’agenda federale. Non solo a livello di policy, ma anche a livello simbolico e comunicativo: sparisce dai siti, dai blog delle agenzie pubbliche, dalle mappe interattive, dagli account social ufficiali.

In questo contesto, un esempio emblematico è l’ordine Putting people over fish, che contrappone i bisogni idrici della popolazione californiana alla protezione di alcune specie ittiche. La frase è ammiccante, ma pericolosamente fuorviante: riduce una complessa questione ecologica a una caricatura populista. Lo stesso vale per l’abbandono delle energie rinnovabili: dall’eolico offshore in Alaska alle restrizioni sulle trivellazioni, l’intera struttura normativa faticosamente costruita negli anni è stata smantellata in nome di un’idea semplicistica di libertà economica. Persino gli Accordi di Parigi, una cornice globale per la lotta al cambiamento climatico, sono stati abbandonati, con la motivazione che danneggiano la competitività delle imprese americane.

Quanto costa tutto questo?

Dunque, la vera domanda è: a che prezzo? Cancellare i rapporti scientifici non cancella la realtà. Così come negare l’emergenza climatica non fermerà né le alluvioni né gli incendi. La scelta di oscurare le fonti più affidabili e dettagliate sul clima, pagate dai contribuenti e verificate da agenzie indipendenti, è un po’ come scegliere di guidare in una tempesta con il parabrezza dipinto di nero. 

Una visione che minaccia la resilienza della comunità, disarma la pianificazione locale e rende più vulnerabili proprio quei cittadini che si pretende di proteggere. E rafforza un modello economico insostenibile, che aumenta il rischio già oggi.

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