15 Maggio 2024
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Istruzione

Voti scolastici, due scuole di pensiero

28.02.2024

Si dibatte su quale sia il sistema adatto per i voti a scuola. Meglio rimanere su quello tradizionale o andare su un giudizio, magari più “freddo”, ma meno mortificante per i figli ancora alle prese con problemi di apprendimento? Chi lavora con gli studenti non ha dubbi. Approfondiamo.

La polemica è nota, e al contempo estremamente polarizzante: qual è il sistema migliore per dare i voti a scuola? Soprattutto nei primissimi anni in cui i giovani studenti iniziano a prendere dimestichezza con libri, banchi e soprattutto una valutazione del proprio rendimento? Di base la risposta a questa domanda delinea una netta demarcazione tra due indirizzi di pensiero: chi ritiene che il sistema tradizionale sia il migliore e chi ne preferisce uno magari più «freddo», ma proprio per questo motivo meno mortificante per chi è alle prese con problemi di apprendimento. Ebbene: nel frattempo a prendere posizione sono stati i docenti stessi.
Facciamo un passo indietro. Per decenni la scuola italiana ha avuto un sistema di valutazione ben chiaro per gli allievi di elementari e medie.

Compiti e interrogazioni generavano, infatti, un ventaglio di voti che poteva comprendere le diciture «ottimo», «distinto», «buono», «sufficiente» e «insufficiente». Un sistema che la riforma del 2020 ha provato a superare, a vantaggio di un altro che secondo insegnanti e pedagogisti privilegiasse l’aspetto formativo dell’educazione rispetto a quello punitivo.
Da qui l’ordinanza ministeriale 172 del 2020, che prevede giudizi più impersonali e descrittivi, con lo scopo di inquadrare quattro possibili differenti livelli di apprendimento raggiunti: «in via di acquisizione», «base», «intermedio» e «avanzato». Un nuovo metodo, che ha fatto storcere il naso ad alcuni e fatto esultare altri. Tra chi preferisce il sistema adottato nei precedenti 30 anni c’è l’attuale Governo, tanto che il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara vorrebbe tornare indietro. Ma chi a scuola ci lavora tutti i giorni non è d’accordo.

Lo si capisce molto chiaramente da una lettera aperta al Ministero che porta la firma di Associazione nazionale dirigenti scolastici, Associazione italiana maestri cattolici, Cgil Scuola e quasi una decina di altre organizzazioni di categoria. Nel documento, il cui titolo è un semplice quanto efficace «Tornare ai voti? No grazie», si definisce la prospettiva di tornare al vecchio sistema di valutazione «contraddittoria, immotivata dal punto di vista pedagogico, priva di una visione pedagogica coerente e duratura».
Presidi e insegnanti denunciano l’assenza di “una documentazione sui processi in atto, una verifica sulle esperienze condotte nelle scuole o un’interlocuzione con il mondo della scuola e della ricerca”. A riprova delle loro parole c’è il più recente rapporto Eurispes su scuola e università, secondo cui 6 docenti su 10 sono insoddisfatti di un sistema di valutazione basato sui voti. Più nel merito è andato il professor Cristiano Corsini, docente di Pedagogia sperimentale all’Università di Roma 3: una valutazione troppo sintetica, ha spiegato, non aiuta i processi di apprendimento. Un compito «insufficiente» comunica all’allievo una sensazione di fallimento, mentre la dicitura «in via di acquisizione» gli trasmette il messaggio di un cammino ancora in corso, con la possibilità di migliorare. Trasformando gli eventuali errori in strumenti pedagogici.

 

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