Per la prima volta nella storia australiana, un governo statale ha approvato un trattato formale con i rappresentanti dei popoli aborigeni. Lo Stato di Victoria ha ratificato l’accordo con gli anziani delle comunità Wurundjeri Woi-wurrung e Bunurong, riconoscendo ufficialmente la loro sovranità tradizionale sui territori attorno a Melbourne e il loro ruolo di custodi della terra, fondato su una conoscenza ecologica tramandata da millenni. Non attribuisce esplicitamente poteri autonomi di gestione ambientale, ma è un passo considerato “storico e irreversibile” nel processo di riconciliazione nazionale, a più di duecento anni dall’arrivo dei coloni europei che dichiararono il Paese terra nullius, una terra “senza padroni”.
L’accordo, discusso e preparato per anni, stabilisce una base giuridica per la co-gestione delle terre, la tutela dei luoghi sacri e una più ampia rappresentanza delle comunità indigene nelle decisioni pubbliche. Il trattato non ha solo valore simbolico: prevede risorse economiche e strumenti amministrativi per restituire autonomia e controllo sui territori tradizionali, e riconosce il legame spirituale e culturale dei popoli originari con la terra e l’acqua, invitando a “prendersi cura del Paese” secondo la loro tradizione millenaria.
“È la prima volta che lo Stato riconosce formalmente che questa terra non è mai stata ceduta”, ha detto una delle leader Wurundjeri, aggiungendo che “non si tratta di riscrivere la storia, ma di cominciare finalmente a raccontarla per intero”.
Dopo il referendum fallito, un segnale diverso
L’iniziativa del Victoria arriva un anno dopo la sconfitta, nel referendum nazionale del 2024, della proposta di inserire nella Costituzione un organismo consultivo permanente per i popoli aborigeni. Quel voto, che aveva ferito profondamente la comunità indigena, sembrava aver congelato ogni speranza di riforma. Ma alcuni Stati – Victoria in testa – hanno scelto di procedere da soli, creando un percorso per arrivare a trattati locali e ad assemblee indigene regionali. Il governo statale ha dichiarato che il trattato “non è un punto d’arrivo ma l’inizio di un nuovo modo di condividere responsabilità e diritti”.
Gli osservatori vedono nell’accordo un precedente potenzialmente dirompente. Altri Stati australiani, tra cui Queensland e Tasmania, stanno già studiando processi simili.
Il premier del Victoria, Jacinta Allan, ha parlato di “una svolta che riconcilia la storia coloniale con la verità”, mentre diversi rappresentanti indigeni hanno sottolineato che l’obiettivo non è la nostalgia, ma la giustizia: “Non chiediamo pietà, chiediamo parità”.
Il trattato, oltre a riconoscere la sovranità spirituale e territoriale dei popoli originari, afferma la loro responsabilità nella cura dell’ambiente, valorizzando le pratiche tradizionali di gestione sostenibile del suolo, del fuoco e della biodiversità. È anche un riconoscimento politico del ruolo che la cultura aborigena può avere oggi nella transizione ecologica.
Il peso della storia e la speranza del futuro
La firma del primo trattato con i popoli originari dell’Australia segna una svolta che ha insieme il sapore della riparazione e quello di un nuovo inizio. Dopo oltre due secoli di espropriazioni, discriminazioni e politiche di assimilazione forzata, il Paese più grande dell’Oceania comincia a guardarsi allo specchio.
È un gesto tardivo, ma anche un messaggio chiaro: la riconciliazione non è più una parola da cerimonia, bensì un impegno istituzionale. E per la prima volta, le voci che per secoli sono rimaste ai margini della storia australiana siedono al tavolo dove quella storia si riscrive e dove la natura stessa torna a essere riconosciuta come un soggetto, non una proprietà.
