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Paolo Nichelli e i segreti del cervello

31.05.2024

Siamo davvero liberi di scegliere? Una domanda al confine tra filosofia, biologia e neuroscienze, a cui risponde Paolo Nichelli, tra le voci più autorevoli nel campo della neurologia, professore senior dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Essere liberi o non liberi. Questo è il dilemma che attanaglia da sempre l’uomo e che ha visto la comunità scientifica dividersi in due schieramenti polarizzati: deterministi e probabilisti. Come spesso accade, la soluzione sta nel mezzo, nel significato che attribuiamo all’azione di scegliere.  Ne parla Paolo Nichelli, autore de “Il cervello e la mente” (ed. Il Mulino, 2020) e nell’articolo “The place of Free Will: the freedom of the prisoner” pubblicato sulla rivista Neurological Sciences.

Professore, esiste il libero arbitrio?

Circa 40 anni fa, Benjamin Libet (neuroscienziato statunitense scomparso nel 2007, ndr) progetta un esperimento che porta alcuni scienziati e filosofi a ritenere che la libertà dell’uomo è un’illusione. In particolare, servendosi di un elettroencefalografo, di un elettromiografo e di una specie di cronometro, Libet registra l’attività cerebrale e muscolare di individui a cui viene chiesto di alzare una mano quando lo desiderano e di prendere nota del momento esatto in cui hanno deciso di muovere la mano.

Cosa scopre Libet?

Le ricerche del neuroscienziato portano a un risultato sorprendente: il nostro cervello conosce già, molto prima di noi, quando abbiamo deciso di muovere la mano. Nel nostro cervello l’attività cerebrale che coincide con la presa di coscienza del movimento da parte dell’individuo si registra circa 300 millisecondi dopo la preparazione del cervello al gesto. Quindi viene dimostrato che l’intenzione cosciente di muoversi è anticipata da uno specifico schema, che conosciamo anche grazie a esperimenti successivi effettuati con la risonanza magnetica funzionale.

Siamo quindi esseri determinati?

Io credo che si possa dare un’interpretazione diversa degli esperimenti di Libet. Una posizione troppo rigida, soprattutto nell’ambito delle scienze biologiche, difficilmente può essere sostenuta. È vero, noi siamo condizionati da ciò che è avvenuto in precedenza e dal contesto in cui viviamo e siamo cresciuti. Ma ciò non vuol dire che tutto il mondo è deterministico. L’imprevedibilità delle cose è ciò che ci permette di sopravvivere.

Abbiamo bisogno di nuova interpretazione del concetto di libero arbitrio?

Sì. Bisogna tenere in considerazione che ci sono decisioni arbitrarie (alzare una mano durante un esperimento) e decisioni più complesse e meditate, come lo stabilire per quale ente erogare una donazione benefica. In questo caso il risultato di Libet non è stato confermato, anzi, cambia tutto: l’attività cerebrale inizia solo dopo la decisione. Chiaramente possono intervenire dei condizionamenti così forti da limitare la nostra libertà. Nel paper “The place of Free Will: the freedom of the prisoner” cito due casi giudiziari, uno italiano e uno statunitense, in cui i giudici hanno concesso un’attenuante perché negli imputati è stata rilevata una mutazione dell’enzima MAO-A, che facilita comportamenti impulsivi-aggressivi.

In conclusione, siamo liberi o no?

Io sostengo che, pur tra tanti vincoli, siamo liberi di scegliere, e che è nostra la responsabilità e il merito di ciò che facciamo e riusciamo ad ottenere. Le neuroscienze hanno tuttavia un ruolo importante nell’evidenziare i fattori che possono spingerci ad agire in un modo o nell’altro.

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