26.10.2024
Tra le immagini della devastazione e del dolore composto, di tutta una popolazione, emergono fotogrammi dove la storia incontra la letteratura. In poche ore, in quella notte di fine ottobre 1954, Salerno viene distrutta. Il ricordo del passato si scontra con gli eventi di ieri e oggi: Liguria, Emilia e Romagna, Marche e chissà ancora dove.
Cinquanta centimetri e quattro millimetri di pioggia caddero, in poche ore, a Salerno, nella notte tra il 25 ed il 26 ottobre del 1954. Un evento straordinario, meteorologicamente parlando; uno di quei rari casi in cui un cumulo di nubi, stracolme di acqua, sostano in pochi chilometri quadri, scaricando tutta l’umidità raccolta, per settimane, mesi forse. Alla straordinarietà dell’evento climatico, che poneva Salerno al 41° posto assoluto nel mondo e nella storia misurata degli eventi piovosi catastrofici (nel 1951 c’era stata la grande alluvione del Polesine), va aggiunta la ordinarietà degli abusi umani: condotte deviate o rimpicciolite, costruzioni in zone a rischio, cumuli di detriti nei corsi d’acqua non ripuliti, e così via. Potrebbe essere eloquente, in questo senso, la costruzione, degli inizi del Novecento, della chiesa di san Gaetano (san Gaetanino al Monte, come la chiamavano gli abitanti del rione Canalone).
La chiesa fu costruita sopra un condotto d’acqua e in un pianoro, che si trasformò prima in un lago, poi come la diga del Vajont, fece tracimare l’acqua ed il fango, ed esplose, con conseguenze drammatiche.
La storia di ieri si scontra con gli eventi di oggi: Liguria, Emilia e Romagna, Marche e chissà ancora. Parlano e accusano per i morti – i 316 dell’alluvione nel salernitano ed i 153 delle frane a Sarno, Episcopio, Quindici e Bracigliano, nel 1994 – le foto di un archivio, quello di Ernesto Errico; immagini che si intrecciano con i fotogrammi girati da uno studente di ingegneria allora, con i sette minuti, a disposizione della pellicola in 8 mm. della sua cinepresa. Tra le immagini della devastazione e del dolore composto, di tutta una popolazione, emergono alcuni fotogrammi, dove la storia incontra la letteratura e le immagini non sono un “incontro mancato”. Nelle immagini di Enrico Siri all’interno del Duomo, durante i funerali, un fotografo apre la sua macchina (una Zeiss “a soffietto”, con pellicola 6 x 9 mm.) per ricaricarla. In alcune immagini di Ernesto Errico, dietro le colonne di marmo secolari della Cattedrale, un cineamatore riprende la benedizione dell’Arcivescovo del tempo, mons. Demetrio Moscato; è lui, Enrico, il giovane studente con suo padre Lorenzo – che appare anche in alcuni fotogrammi del video. Testimoni speculari di eventi che vorremo tutti fossero solo una sceneggiatura dell’ennesimo film “catastrofico”, e che si ritrovano dopo cinquant’anni. “O muthos deloi oti”, “la favola insegna che” era il sigillo finale delle narrazioni di molta letteratura greca classica, di cui siamo sempre nipoti e tributari. Questo ricordo speriamo possa essere un momento di riflessione sul valore delle fonti storiche e scientifiche che non possono e non devono essere ignorate.
«È questo il punto di partenza di tutte le discussioni, di tutti i progetti, se si vuole agire con sano realismo, con senso di responsabilità. Se la memoria storica ha un significato reale. Se il Cinquantaquattro ha insegnato qualcosa. Se la vita di un bambino vale di più di un parcheggio». Erano e sono le dure parole del prof. Arcangelo R. Amarotta a conclusione del suo volume “L’alluvione nel salernitano – Un’esperienza disattesa”, edito dalla Società di Storia Patria. Egli puntava il dito, infine, su due tematiche principali riguardo al rischio frane e alluvioni: la manutenzione dei corsi d’acqua ed il controllo delle coperture dei corsi.
Era il 1994, non è cambiato niente. Durante quei giorni i settimanali Europeo ed Epoca inviarono due giornalisti d’eccezione, salernitani di nascita: Alfonso Gatto, che scrisse titolando “La Malanotte”, e Aldo Falivena, tra i cui reportage spicca “Morirono abbracciati”.