5 Febbraio 2025
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Personaggi

Come scuola e famiglia collaborano nel percorso educativo

01.01.2025

Intervista alla Prof.ssa Diletta Chiusaroli, ricercatrice e docente dell’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

Dall’alleanza educativa tra scuola e famiglia derivano scopi e responsabilità reciproche, che vanno continuamente ripensate alla luce dei cambiamenti contemporanei. Ne parliamo con la Prof.ssa Diletta Chiusaroli.

La scuola e la famiglia sono chiamate a comunicare tra di loro per lo sviluppo di ogni persona…

«Senza questa alleanza educativa non ci può essere un’educazione efficace all’interno della scuola e al di fuori. Purtroppo, però, anche se in teoria questo rapporto si è consolidato attraverso il Patto di Corresponsabilità, diciamo che una vera alleanza nella scuola è ancora poco presente perché i genitori vengono chiamati soltanto nel momento della difficoltà di un figlio-alunno e quindi non c’è una vera coesione. Genitori si diventa quando si mette al mondo un figlio e non sempre si è preparati ad affrontare tutte le difficoltà, quindi la scuola dovrebbe promuovere la crescita dello studente, sempre in collaborazione con la famiglia. E per farlo dovrebbe conoscere bene la famiglia, per capire come quell’alunno è stato educato… perché la famiglia – che ha una propria identità, i propri valori etico-sociali – ha un ruolo prioritario nello sviluppo cognitivo-comportamentale del ragazzo, e può aiutare nel processo di socializzazione. La scuola può dare ulteriori opportunità di sviluppo della persona, in età infantile, preadolescenziale e adolescenziale: costituisce un luogo in cui è possibile distaccarsi dal contesto famigliare, ma un coinvolgimento genitoriale nella vita scolastica e una comunicazione, che non è sempre positiva, tra genitori e docenti è indispensabile per la buona riuscita delle prestazioni scolastiche, anche se gli alunni non sono soli voti».

Crede che il rapporto tra genitori e scuola sia più complesso rispetto al passato?

«Sì. È un rapporto molto difficile perché a volte non ci sono i tempi. La scuola non ha dei tempi aggiuntivi in cui poter incontrare le famiglie, oltre agli incontri scuola-famiglia o gli incontri per gli scrutini. Non è nemmeno colpa dei docenti, ma è del sistema che non da molto spazio a questa relazione. Gli insegnanti possono sbagliare, non sempre conoscono il tipo di educazione che gli alunni hanno avuto a casa, il contesto in cui sono vissuti, e – se pensiamo alle scuole secondarie – non sappiamo qual è stato il percorso scolastico precedente, se ci sono stati dei disagi, o dei problemi relazionali. Anche la scuola è un’istituzione sociale complessa, quindi a volte ci sono delle difficoltà nel relazionarsi con l’altro e a volte le famiglie si chiudono, non dicono quali sono le difficoltà dei figli. Cercano, in certi casi, di nascondere e non vedere, sperando che sia la scuola a risolvere i problemi. Ma anche se i docenti oggi sono inclusivi, si parla di spostare il focus dall’insegnante all’alunno, quindi il docente come mediatore dell’apprendimento, questo a volte rimane solo nella teoria. La scuola dovrebbe non solo fornire gli strumenti didattici ma andare oltre, guardare l’esperienza sociale, garantire quella relazione di reciprocità, che a volte non c’è. Nel Patto di Corresponsabilità, aggiornato con la legge del 2017, la scuola non è solo il luogo dell’apprendere ma anche dell’essere, quindi la collaborazione della famiglia diventa ancora più importante, la relazione deve essere costante. Se il lavoro dell’una esclude l’altra, i risultati non sono ottimali. Viviamo in un mondo di incertezze e anche i docenti fanno fatica a entrare nel mondo dei ragazzi. I giovani oggi sono nativi digitali ma la scuola non lo è e non sempre riesce a comunicare in modo efficace. I modelli educativi vanno continuamente ripensati sempre al fine di raggiungere il pieno sviluppo della persona».

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