4 Febbraio 2025
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In Congo la guerra è per le materie rare

31.01.2025

Il controllo del commercio del coltan, essenziale per la transizione energetica, è la vera causa del conflitto nel Paese africano

Esiste un documento ufficiale, redatto dall’Onu, che stima le cifre del saccheggio di materie prime di cui è vittima da anni la Repubblica democratica del Congo ad opera del gruppo militare M23, dietro il quale non è più un mistero che ci sia il Ruanda. Secondo Bintou Keita, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Congo nonché guida della missione dell’Onu nel Paese, la Monusco, il controllo dei siti minerari e l’imposizione di una tassa sulla produzione, “genera un fatturato stimato di 300 mila dollari al mese per il gruppo armato”. Una dinamica questa, ha affermato Keita, “profondamente preoccupante e che deve essere fermata”.

Una situazione che, come detto, si protrae da anni e che da poche settimane ha subito un’accelerazione con l’avanzata del gruppo M23, fondato da ex militari congolesi insubordinati e composto per lo più da appartenenti alla comunità tutsi, che sta progressivamente saccheggiando e conquistando le principali città congolesi. Quella in corso nell’Est della Repubblica Democratica del Congo è una crisi umanitaria che ha il suo epicentro in Nord Kivu, al confine con il Ruanda e già teatro negli anni Novanta della ‘Prima guerra mondiale africana’. Da allora, nella provincia – il cui sottosuolo contiene il 70% delle riserve mondiali di coltan, cobalto, bauxite ed altre terre rare cruciali per la transizione energetica – milizie locali e gruppi ribelli imperversano, mentre i civili sono vittime anche delle forze armate che sulla carta dovrebbero proteggerli.

Perché ci riguarda
Un conflitto che, praticamente, nasce nelle nostre case. L’obiettivo dei ribelli, infatti, è quello di reperire il coltan, minerale di cui in Congo vi è una grande concentrazione e che è essenziale per l’estrazione del tantalio, un metallo usato nella produzione di componenti elettronici come condensatori e batterie per smartphone, computer, console e dispositivi medici. Il Congo è il principale produttore mondiale di tantalio, considerato un minerale critico dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. La questione non è di poco conto: sono infatti i metalli critici i motori della transizione energetica. Dietro le auto elettriche, i pannelli solari o le tecnologie che si propongono di ridurre le emissioni di anidride carbonica, ci sono proprio queste materie prime. Nello scorso ottobre, Bintou Keita aveva denunciato al Consiglio di sicurezza dell’Onu che il commercio di minerali nell’area di Rubaya rappresenta oltre il 15% della fornitura globale di tantalio.

Nel Congo, inoltre, si trova il 50% delle riserve mondiali di cobalto, stimate in circa 8,3 tonnellate, utilizzato soprattutto nelle batterie al litio. Il Paese africano è inoltre responsabile del 74% dell’estrazione globale. Circa il 12% dell’output congolese avviene per opera di minatori artigianali, spesso minorenni. Nonostante le questioni etiche nonché ambientali, il cobalto continua a essere fortemente utilizzato nelle composizioni chimiche delle batterie (il 74% dei catodi utilizzati nel mercato delle batterie per i veicoli elettrici lo impiega) che costituiscono quasi il 60% del consumo globale di cobalto raffinato.

Un Paese in ginocchio
Nella sua denuncia, Keita ha poi spiegato: “Il riciclaggio criminale delle risorse naturali della Rd Congo, contrabbandate fuori dal Paese, sta rafforzando i gruppi armati, alimentando lo sfruttamento delle popolazioni civili, alcune delle quali ridotte di fatto in schiavitù, e minando gli sforzi di pacificazione”. Quanto affermato da Keita va messo a sistema con un report di un gruppo di esperti delle Nazioni Unite che nello scorso luglio denunciava come il Ruanda non si limitasse a sostenere l’M23 a livello finanziario o logistico, ma lo accompagnasse sul campo con circa 4 mila militari “secondo stime conservative”. Si tratta di un numero di unità che è pari se non superiore a quello di tutti i componenti della milizia. Una situazione drammatica che si aggiunge a un quadro già di suo gravissimo. A causa delle violenze, il Paese conta circa 7 milioni di sfollati interni, il numero più alto al mondo. I problemi del Paese non si limitano all’Est: nonostante le immense ricchezze del sottosuolo, due terzi della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, circa l’80% dei giovani sono disoccupati mentre il mix di inflazione e svalutazione del franco congolese ha ridotto il potere d’acquisto dei cittadini che si trovano a pagare prezzi alle stelle anche per i più diffusi prodotti alimentari.

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