27 Giugno 2025
/ 27.06.2025

Così Nairobi convive con i leoni 

La città è cresciuta attorno al parco e lo ha circondato. Resta aperto solo con un corridoio, dove vivono i Masai. Ma la coesistenza non è facile

A Nairobi, la capitale del Kenya, i leoni vivono letteralmente accanto ai grattacieli. Il Nairobi National Park – uno dei pochissimi parchi nazionali che nel mondo confinano con una grande metropoli – è un raro esempio di convivenza tra fauna selvatica e insediamenti urbani. Ma oggi questa coesistenza è appesa a un filo: la città sta crescendo e rischia di chiudere l’unica via di comunicazione con l’esterno per gli animali del parco. A salvarla, per ora, è il sacrificio dei pastori Masai.

L’ultimo corridoio

A sud del parco si estende infatti Kitengela, una distesa di terreni comunali, pascoli e villaggi Masai che rappresentano l’ultima connessione aperta tra il parco e le vaste pianure del sud del Kenya. Senza questo corridoio naturale, i leoni – così come zebre, gnu, giraffe – resterebbero intrappolati in una riserva sempre più isolata, condannati alla consanguineità e a un futuro geneticamente fragile.

Il corridoio è utile agli animali ma ha un prezzo per i Masai. Ogni notte decine di leoni escono dal parco per cacciare, e spesso attaccano il bestiame. Per le famiglie Maasai significa perdere pecore, mucche e sonno. Ma nonostante tutto, molti non erigono recinzioni. Non chiudono i pascoli. Anzi, difendono il corridoio. Il Guardian racconta di pastori come Isaac ole Kishoyian e Phylis Enenoa che, nonostante attacchi frequenti al bestiame da parte di predatori, mantengono questi pascoli aperti: accettano qualche danno per evitare la frammentazione degli habitat

Soldi per tenere aperta la savana

Il Kenya li incoraggia offrendo un risarcimento per gli animali predati. Un programma pilota, sostenuto anche da donatori privati, prevede pagamenti annuali per ogni ettaro di terra mantenuto aperto e utilizzabile dalla fauna. Il tutto è tracciato via satellite, con droni e app mobili che controllano se il territorio è davvero accessibile.

Questi “crediti di biodiversità” – una sorta di compensazione ecologica per i servizi forniti alla natura – stanno diventando un modello guardato con interesse anche in altri Paesi africani. Ma servono fondi stabili e continuità: senza, i terreni saranno lottizzati, le case cresceranno come funghi e il corridoio sarà solo un ricordo.

Servono le prede

C’è un altro problema: la carenza di prede selvatiche. A causa del bracconaggio e della pressione antropica, le popolazioni di erbivori stanno calando. Gnu, zebre e antilopi non sono più così abbondanti, e i leoni – affamati – si rivolgono sempre più spesso al bestiame.

Per questo motivo, diversi biologi sottolineano che proteggere il corridoio non basta. Serve anche un piano per ripopolare la fauna selvatica e per rafforzare le catene ecologiche. 

Il modello Masai

Eppure, in mezzo a mille difficoltà, il modello comunitario funziona. I Masai non solo tollerano i predatori, ma in alcuni casi li proteggono attivamente. Programmi come Lion Guardians, fondato dalla biologa Leela Hazzah, trasformano ex cacciatori in difensori dei leoni: tracciano gli spostamenti dei felini, avvertono i villaggi, aiutano a evitare gli attacchi.

Un altro esempio è la Big Life Foundation, che ha creato un sistema di compensazioni per ogni animale ucciso, collegando la conservazione alla sicurezza economica delle famiglie.

Oggi in Kenya esistono oltre 230 conservancies – aree protette gestite dalle comunità – che coprono il 16% del territorio nazionale. Sono il segno che un’alternativa ai parchi recintati è possibile: un modello in cui le persone non sono nemiche della fauna, ma sue custodi. 

La strada della conservazione è però lunga e piena di rischi. Senza supporto istituzionale, i giovani Masai saranno attratti dai profitti rapidi della speculazione edilizia. Senza prede, i leoni diventeranno nemici. Senza fondi, i corridoi chiuderanno.

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