16.09.2024
Conserviamo tanto rispetto per il nostro patrimonio. Privatizzazione, rischi di danneggiamenti, limitazione all’accesso pubblico, sono tutti argomenti che hanno dato stura a varie polemiche dopo l’esuberante scelta della superstar di festeggiare nel complesso archeologico tanto caro per la memoria del nostro Paese. Le osservazioni sull’accaduto.
Potrebbero stupirci con effetti speciali, ma garantire conservazione e tutela del patrimonio culturale non è mai stato così difficile. In Italia più che altrove, la vastità materiale e concettuale del bene di cultura ha dimensioni così articolate da compenetrarsi nella vita quotidiana di città e campagne. C’è una storia millenaria da preservare, tanto che il Patrimonium (il complesso delle ricchezze storico-artistiche ereditate dal padre) si nutre d’una memoria speciale che (alla Bergson) s’allunga in una “Durata” temporale che ci spinge a vivere il presente, conservando i tratti del passato. Vai a Pompei, la città sospesa nel tempo, e avverti l’esigenza di “fermarlo”, di recuperarlo nella memoria attraverso i beni ereditati da un’eruzione, per ricomporre frammenti di civiltà e d’una comunità.
La parabola del patrimonio da tramandare attraversa le cosiddette “collezioni all’italiana” del ‘500, supera la fase di apertura al pubblico nel ‘700, fino allo status di cittadinanza e d’identità del Paese incarnati dai valori della Rivoluzione Francese (arte come incarnazione dello Stato). Legge Bottai, 1939: si vara la principale riforma del Novecento in tema di tutela del patrimonio culturale con normativa specifica, studi storico-giuridici e prospettive di ricerca. La coscienza politico-culturale italica (gradualmente) si struttura mediante conoscenza, conservazione, valorizzazione, catalogazione e classificazione: ogni frammento di storia entra nella “casa della memoria”. Incentivando quella esigenza di tutela complessiva di un tesoro artistico e paesaggistico da proteggere (e tramandare) grazie a interventi politico-amministrativi mirati e a una coscienza civile allargata a sempre più strati sociali, nell’intento di scongiurare quella impercettibile sensazione di pericolo che la storia ha consegnato alle nostre città, alla provincia negletta (ma vitale), a tutti i siti inseriti nel Patrimonio Unesco, sempre in equilibrio instabile nella morsa dei mutamenti ordinari imposti da trasformazioni economiche e sociali in continuo divenire. Poi, ti arriva una popstar di fama mondiale e le carte si sparigliano.
Pompei ridiventa Pompei, e il Vesuvio erutta polemiche. Madonna (Louise Veronica Ciccone), fasciata di bianco e senza cantare, si prende la scena come meglio non potrebbe. La sua figura sovrasta i trenta invitati attorno a una tavolata a forma di mezzaluna, che s’inscrive nello spazio dell’Orchestra, tra Proscaenium e Cavea, al centro del Teatro Grande. Si deve festeggiare il suo compleanno con una cena stellata raffinata: pasta di Nerano, cernia bianca e pezzogna del golfo, nel trionfo dei sapori della dirimpettaia Penisola Sorrentina. Potenza della celebrità (leggi, soldi). Secondo chi ha concesso l’autorizzazione, Gabriel Zuchtriegel, Direttore degli Scavi pompeiani, bisogna superare divieti e chiusura: «C’è la tutela attiva, quella che coinvolge e crea sinergie per la crescita di un sito». La visibilità che ne è derivata rappresenta una chance per coinvolgere la comunità e rinnovare l’interesse per i luoghi storici.
Perciò l’evento è interpretato come occasione di promozione e d’interconnessione tra arte, cultura e società, a fronte del rispetto delle pietre millenarie. Il sostegno (250.000 euro elargiti dalla superstar) al progetto “Sogno di volare”(Marco Martinelli, regista), che coinvolge ragazzi del territorio pompeiano in laboratori teatrali e di educazione al patrimonio, sorvola le frizioni. Ma Tomaso Montanari, storico dell’arte e Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, mastica amaro. Teme:« L’assuefazione alla privatizzazione selvaggia del patrimonio culturale della nazione, in un tempo che confonde prezzo e valore».