19 Settembre 2024
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Arte, Storie

Cesare Manzoni artista territoriale, ma globale

03.08.2024

Attraverso l’identità e l’arte del territorio è possibile conoscere “il mondo là fuori”, “l’altro-da-sé”. La storia di un pittore postimpressionista legato al paesaggio bergamasco, che ha adottato la Bolivia, dove ha realizzato affreschi di grandi dimensioni nella chiesa della Ciudad del Niño.

Arte e territorio, un binomio che troviamo più spesso a parole e meno nei fatti, cioè in una mostra. Eppure forse mai come oggi questi due termini si rivelano così gravidi di conseguenze concrete. È dagli anni Novanta che ce la menano col torrone sulla globalizzazione, ma fino a questo momento abbiamo visto soprattutto grandi mostre mass market negli spazi espostivi chic contornate da vuoti truismi sull’assimilazione e l’incontro con l’altro, ciarle che sulle vite concrete incidono poco, forse perché anziché guardare la luna guardiamo il dito che la indica. La globalizzazione (economica e culturale) si accompagna intrinsecamente al suo rovescio, una volta lo chiamavamo “glocal” facendo la crasi fra “global” e “local”, oggi parliamo di “territorio”, ma la sostanza è la stessa, perché a guardare lontano vediamo meglio anche da vicino. Qualcosa che possiamo toccare con mano non al MoMA di New York, non alla Turbine di Londra e nemmeno nella galleria “fighetta” della Ville Lumière, ma nella galleria Cesare Manzoni. Un Fiume d’Arte a Ponte San Pietro, Bergamo, Lombardia, Italia, Mondo, dove la Bolivia e l’Italia si uniscono nel nome dell’arte e della solidarietà dando forma e sostanza alla celeberrima frase di Einstein: «l’unica razza che conosco è quella umana».

 Un passo indietro: Cesare Manzoni (Bergamo, 1944 – Ponte San Pietro, 2018) è stato un pittore post impressionista che, dopo aver assimilato la lezione di Van Gogh, Cézanne e Sisley, ha sviluppato uno stile assolutamente personale tributando il territorio con la pratica della pittura en plein air e fondando l’associazione Un Fiume d’Arte. Diventando così un maestro anche per molti pittori del territorio.

Un pittore che, come ha scritto la critica d’arte Chiara Medolago, «con tenacia e precisione ha saputo raccontare nei suoi quadri la passione per la natura e la montagna con uno stile realistico e con una cromia unica, intrisa di luce». E che ha legato l’arte alla solidarietà: dal 1979 al 1981 insieme alla moglie Piera, Cesare Manzoni è stato in Bolivia a Cochabamba nel pieno della dittatura, dove non solo ha realizzato la decorazione della chiesa della Ciudad del Niño con affreschi di grandi dimensioni, ma ha adottato quel Giovanni Manzoni (Cochabamba, 1979, vive e lavora a Milano), che nel 2011 abbiamo visto in una personale alla Biennale di Venezia e poi in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero, supportato dal mecenatismo di grandi aziende tipo Berlucchi, Brazzale, Zucchi, Unicredit.

Oggi, con la retrospettiva dedicata a Cesare Manzoni negli spazi della nuova galleria a lui dedicata, scopriamo che è proprio grazie all’identità e all’arte del territorio che possiamo conoscere “il mondo là fuori”, “l’altro-da-sé”, meglio di quanto non possano farlo per noi le grandi mostre, in un viaggio fra riqualificazione territoriale e l’integrazione multiculturale attraverso l’arte.

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