16 Maggio 2024
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Ambiente, Sicurezza

Clima globale impazzito, cereali, frutta e verdura a rischio

05.01.2024

Nemmeno spostare le colture più a nord potrà salvare le specie a rischio scomparizione dalla faccia della Terra. Si parla di una lunga lista di alimenti da tavola, tra cui anche pomodori, patate, olive, mirtilli, ma anche avena e mais. Brutte le conseguenze su attività correlate.

Se negli ultimi anni la siccità ha provocato danni ingenti all’agricoltura, i conseguenti problemi rischiano di non essere solo stagionali o annuali. La scienza denuncia, infatti, una preoccupazione crescente e che potrebbe manifestarsi in un futuro non così lontano: il cambiamento climatico rischia di far sparire alcune importanti coltivazioni, e quindi anche gli alimenti che ne derivano. E a dimostrarlo ci sono già alcuni numeri attualissimi.

L’allarme non è nuovo: già nel 2019 lo aveva lanciato un gruppo di ricerca che si avvaleva del sostegno tra gli altri di Onu e Banca Mondiale, principale organizzazione internazionale per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà. Si tratta della Global Commission on Adaptation, secondo cui entro il 2050 i prodotti dell’agricoltura rischiano di diminuire del 30% a causa dei cambiamenti climatici. E questo, oltre alle evidenti conseguenze per la popolazione, rischia di mettere in ginocchio i piccoli agricoltori: 500 milioni di persone in tutto il mondo che potrebbero vedere la propria attività svanire senza soluzione alternativa.

La conferma dell’allarme trova riscontro nei dati raccolti negli ultimi mesi. La primavera del 2023 ha registrato un crollo della produzione di pomodori in Spagna e Marocco (con conseguente carenza dell’ortaggio in Gran Bretagna, che ne è un grande importatore). Qualche mese dopo la BBC ha denunciato un calo della produzione di patate in Irlanda di quasi due milioni di kg. Causa: il clima troppo secco. Problema opposto in India: le troppe piogge hanno fatto perdere quantità ingenti di mais, da destinarsi anche all’allevamento. In autunno, la Spagna ha dovuto invece fare i conti con una produzione molto ridotta di olive, mentre il Perù ha perso la metà dei mirtilli che solitamente produce. E di cui è il primo esportatore al mondo.

Il problema si estende ad altre colture “speciali”, come le nostrane arance, ma riguarda anche coltivazioni più estese. Tra esse spiccano ovviamente quelle dei cereali, fondamentali non solo per l’alimentazione umana, ma anche per quella degli animali e per altri utilizzi industriali o manifatturieri (si pensi alla paglia). Ebbene: anche solo in uno scenario di riscaldamento moderato questi prodotti rischiano di ridursi del 30%. Basti condividere un dato dell’Università dell’Illinois: la produzione di avena negli Stati del Midwest, dove tradizionalmente si coltiva, è crollata da oltre 47 milioni di acri agli attuali due. Tanto che ora gli Usa la importano massicciamente dal più freddo Canada.

La soluzione dello spostamento delle colture, se “soluzione” la si può definire, non a caso è già applicata per numerosi prodotti agricoli: dell’elenco fanno parte anche mais, riso, soia e ovviamente grano. Ma è chiaro che non si possa continuare così. Come evidenziano all’Institute of the Environment and Sustainability della University of California: «Agli effetti negativi sulla sicurezza alimentare regionale si aggiungono quelli sull’economia generale. I Paesi già oggi più ricchi avranno climi ancora più favorevoli, quelli più poveri vedranno moltiplicarsi i loro problemi. Tanto più che molti di essi a livello di occupazione dipendono fortemente dall’agricoltura».

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