03.12.2024
Nel passato, il tema sacro della Natività nell’arte italiana è stato assai fortunato e ha ispirato alcune delle nostre migliori opere, ma nel tempo il rapporto tra questo tema e l’arte è cambiato. Ne parliamo con Emanuela Pulvirenti.
Architetto, con una specializzazione in Illuminotecnica, Emanuela Pulvirenti è stata docente di Storia dell’arte e oggi è una nota autrice di libri, collabora con alcune importanti case editrici e si occupa di divulgazione culturale.
Partiamo dalla fortuna che il tema sacro della Natività ha avuto nel Medioevo e nel Rinascimento…
«Nel Medioevo il tema della Natività di Cristo, correlata alla Natività di Maria, è importantissimo: non c’è pittore – come Giotto, il Mantegna, Piero della Francesca – che non lo abbia trattato. L’arte era quasi sinonimo di arte sacra. Le immagini più diffuse sono quelle della Natività e quella della Madonna col bambino, abbiamo tantissime opere con questi soggetti. L’interesse resta forte anche dopo il ‘400, nel ‘500-‘600, ma con un significato un po’ diverso. Durante la Riforma protestante, la produzione di immagini sacre si fa ancora più intensa perché la Chiesa cattolica utilizza l’arte come strumento per coinvolgere emotivamente i fedeli e per far in modo che non diano ascolto a dottrine come quella di Lutero. Quando questo clima viene meno, nel corso del ‘700 piano piano l’arte inizia ad avere altri interessi, fino all’800, in cui, con il Romanticismo e il Realismo, i temi sacri e la Natività, in particolare, scompaiono. Ricompaiono per qualche artista, come i Preraffaelliti, ma c’è un cambio di interesse di tutta l’arte, che adesso guarda al reale. Di contro, la Natività si sposta sul piano profano: diventano frequenti scene di madri che allattano, rimandano ai momenti della nascita, della maternità in una declinazione molto umana».
In età moderna come è stato declinato poi il tema?
«Premesso che c’è sempre qualche dubbio su dove inizino la modernità, la contemporaneità nell’arte… diciamo che, superato l’800, agli inizi del ‘900, con le avanguardie, c’è un “terremoto” nel mondo artistico, compare l’arte astratta e nuovi soggetti come la velocità, il movimento, le macchine. È chiaro che la scena di genere e la scena sacra scompaiono entrambe, ci sono nuove esigenze e l’arte ripensa ai propri strumenti di comunicazione, arrivando al limite con ciò che non è più arte. In questo panorama, non c’è più un grande movimento di arte sacra, c’è qualche ritorno ma molto individuale, cioè di singoli artisti. Tra le due guerre c’è un periodo di “ritorno all’ordine”, quindi un recupero della tradizione e alcuni artisti, facendo un percorso personale di conversione alla religione, recuperano anche i temi sacri. Ad esempio, il futurista Gerardo Dottori, noto per i suoi dipinti di paesaggi dell’Umbria visti dall’aeroplano, nel 1930 dipinge una Natività abbastanza futurista: ci sono Maria, Giuseppe e il bambino nella stalla, ma c’è anche un grande panorama sulle nuvole, che sembra quello dei suoi paesaggi visti dall’aeroplano».
Oggi il tema della Natività è ancora presente nell’arte? E se sì, in che termini lo è?
«In generale, oggi ci sono tanti tipi di arte e sono molto più concettuali, un po’ si tende a escludere il tema sacro e religioso, che viene affrontato da artisti secondari ed è finalizzato ad arredi sacri. Però mi vengono in mente alcune esperienze contemporanee che ne riprendono il contenuto simbolico: c’è, per esempio, un’opera del videoartist Bill Viola. Le sue proiezioni erano molto rallentate e ispirate all’arte rinascimentale: in una di queste, riprende la scena della Resurrezione ma, nel suo caso, il personaggio di Cristo sembra più nascere che risorgere, perché esce dalla tomba insieme a dell’acqua. Mescola queste suggestioni e rimanda a un senso più ampio di natività».