11.06.2023
Il messaggio è quello di avvicinare i giovani alla scienza: la sollecitazione scenica di un cambio di passo rispetto a alla crisi idrica, all’inquinamento e al cambiamento climatico. Gli autori sono la Banda Osiris e il prof. Telmo Pievani.
Appena il tempo di sedersi nel milanesissimo Teatro Elfo Puccini e le domande cominciano a frullare come in una centrifuga. Ma a che ora comincia la lezione? Ah, non è una lezione con l’esimio Prof. Telmo Peviani, filosofo della scienza: la risposta. E quei mattacchioni incapsulati nel modo irriverente di trattare la musica chi sono? Ah: la Banda Osiris, tristemente famosa perché rea di lucida intelligenza e brio creativo: capisco. Pochi momenti, qualche battuta, due note d’alto equilibrismo musicale e sei nella dimensione di un teatro “altro” che parla di un “altrove” denominato Scienza. Signori, va in scena “Aquedueo, un pianeta molto liquido”, che al di là della grafia sgrammaticata gioca con la formula chimica di sua eccellenza acqua, vera e indiscussa star di una contaminazione tra arte e scienza, tra serio e faceto, con ammiccamenti e moniti arcigni, riguardanti un elemento primario della vita.
Cinque scienziati in laboratorio (i nostri) con alle spalle una lavagna, s’interrogano e pongono domande, presi ad elaborare formule ed esperimenti, per svellere i lacci stringenti di un problema di capitale importanza. Siamo arrivati al punto di non ritorno per l’approvvigionamento delle risorse idriche necessarie all’intero pianeta? Ma davvero intere popolazioni saranno costrette a migrare per scampare ad una desertificazione sempre più progressiva di intere aree? L’acqua elemento primario per la vita, nel contatto con l’essere umano, fin dalla notte dei tempi, ha assunto le mille facce di un prisma dai significati infiniti, diventando al contempo specchio delle paure, delle speranze, del benessere economico, della salute e delle malattie degli esseri umani. E lo spettacolo s’infilza, come punta acuminata, nelle nostre false certezze e nella sicumera di chi appartiene all’altra metà del mondo esente da problemi di sopravvivenza, perché si fa riferimento esplicito al problema globale, quello delle variazioni climatiche e dei mutati scenari dell’ambiente. La sollecitazione scenica di un cambio di passo, si avvale di leggerezza e semplicità, certo, ma diventa invito suadente, se non esplicito, a un radicale cambiamento cognitivo, che ci permetta di reagire a una vernice grigiastra riversata sulle coscienze (avvizzite dal profitto) e permetterci di riacquistare la percezione istintiva di un pericolo invisibile (ma immanente). Questo nostro povero “pianeta blu”, ricoperto al 70% da acqua, segmentato in porzioni che godono di un libero utilizzo della stessa a detrimento di tante altre (troppe) a cui l’accesso è vietato, sollecita quesiti. Un mondo sempre più preda di lotte politica da parte di nazioni in aperta competizione per appropriarsi delle scarse risorse idriche, molte volte retaggio non solo del cambiamento climatico, ma di strutturali deficienze d’approvvigionamento, malfunzionamento di impianti appositi e cattiva gestione del sistema.
I CarloneBrothers-Berti,Macrì polistrumentisti surreali e Peviani prof-sapienziale, incidono, graffiano. E se l’“Hommage à l’eau” con l’acqua che diventa tappeto percussivo a una lettera indirizzata ai potenti della guerra “L’acqua che verrà” liberamente ispirata a Lucio Dalla, con richiami poi, a Roger Waters, Buscaglione, Modugno, Vivaldi ed i Beatles, appaiono irridenti se commisurati al mare di problemi sollecitati, fungono, invece, da aperta denuncia per sollecitare una presa di coscienza e una cultura ambientale, al momento drammaticamente precarie. Chi l’avrebbe detto che la scienza dovesse salire su un palcoscenico per raccontare la storia di un pianeta malato, e con l’acqua alla gola?