25 Novembre 2025
/ 25.11.2025

La scuola come laboratorio di cittadinanza

Rigenerare le città attraverso l’educazione è possibile. “Abitare il Paese” ce lo dimostra: investire sui giovani non significa migliorare soltanto il loro futuro, ma quello di tutti

C’è un progetto che nel corso degli anni ha generato un profondo cambiamento nel modo in cui bambini, ragazzi e comunità guardano ai propri luoghi di vita. Si chiama “Abitare il Paese“, ed è coordinato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (Cnappc) e dal Centro Loris Malaguzzi, in collaborazione con gli Ordini territoriali degli Architetti Ppc. Perché rigenerare una città non significa solo riqualificare spazi o ridisegnare edifici. Rigenerare vuol dire far crescere consapevolezza, restituire fiducia e costruire legami.

Un’esperienza, questa, nata nel 2018, e che oggi rappresenta un punto di riferimento nazionale nei processi di rigenerazione urbana dal basso, capaci di intrecciare educazione, architettura e partecipazione. “La sinergia tra le diverse realtà ha innescato processi capaci di stimolare la progettualità di ambienti innovativi nelle scuole”, racconta Lilia Cannarella, responsabile del dipartimento Partecipazione, inclusione sociale e sussidiarietà del Cnappc. “Ciò ha favorito la sperimentazione di spazi educativi più flessibili, inclusivi e sostenibili, oltre a una visione di spazio di apprendimento finalmente non più confinato tra le mura degli edifici scolastici. Allo stesso tempo il progetto, attraverso i laboratori e i processi partecipativi, ha contribuito a promuovere azioni di rigenerazione urbana dal basso, mettendo in relazione comunità, istituzioni e professionisti nella costruzione condivisa di visioni e pratiche per la trasformazione dei territori”.

Insomma, un’idea che è stata capace di ridefinire le relazioni tra scuole, città e territorio. Tant’è che, come ha sottolineato Cannarella, oggi si osserva una maggiore consapevolezza del valore dei luoghi e del senso di appartenenza. Così – dice – la scuola non è più soltanto un edificio, ma dialoga con lo spazio urbano e diventa il punto di partenza in una comunità che progetta insieme il proprio futuro; la città diventa una palestra civica e un luogo di formazione; il territorio si fa laboratorio in cui costruire consapevolezza e progettualità. Un approccio, in altri termini, che porta a immaginare questi attori come parti di un unico ecosistema formativo.

Educazione come leva per la consapevolezza

Il cuore del progetto è l’educazione. Per la referente del Cnappc, è proprio lì che si forma la cittadinanza e, di conseguenza, la qualità della città: “L’educazione è il punto di partenza per costruire comunità consapevoli e responsabili. L’investimento sulla persona, la sua educazione e formazione sono, oggi più che mai, centrali per sviluppare l’intelligenza emotiva, che può diventare intelligenza collettiva, l’unica capace di creare il cambiamento”. Il metodo è multidisciplinare e aperto: “Attraverso un approccio multidisciplinare, il progetto intreccia linguaggi e discipline, e promuove competenze chiave per comprendere e trasformare lo spazio che abitiamo”.

Dunque, nel cosiddetto “secolo delle città”, aggiunge Cannarella, la sfida è culturale perché la qualità urbana dipende dalla capacità delle comunità di immaginare il proprio futuro. E “Abitare il Paese” parte proprio da qui. Parte dai più giovani e punta a costruire una cultura condivisa della qualità dello spazio, capace di contrastare segregazione e marginalità e di generare non solo inclusione, ma anche dialogo e cura dei luoghi comuni.

Proprio con questa prospettiva, le esperienze raccolte in centinaia di scuole hanno mostrato come l’educazione alla città possa diventare un potente motore di cambiamento. Dice Cannarella: “I laboratori territoriali hanno trasformato cortili, strade, piazze, parchi e perfino spazi dismessi in occasione di esplorazione, apprendimento e progettazione condivisa. La sperimentazione di strumenti come esplorazioni urbane, mappature, urbanismo tattico e linguaggi visivi ha reso possibile un apprendimento non convenzionale, favorendo consapevolezza, critica e nuove competenze”.

Una strategia vincente? Sembra proprio di sì: “Questa partecipazione diffusa ha ampliato i confini della scuola, rendendo la città un luogo di apprendimento continuo, di relazioni e di appartenenza. Ne emerge una visione di città-comunità, in cui educazione e architettura diventano strumenti di crescita collettiva e di costruzione di futuro”. E dopo anni di sperimentazioni, i risultati sono evidenti: dove la scuola dialoga con il territorio, la cittadinanza si rafforza e le comunità diventano più coese. “È in questa rete di alleanze che nascono i cambiamenti più concreti e duraturi”, riflette Cannarella.

Un dialogo a più voci

Una sinergia simile non è certo facile. Ma “Abitare il Paese” ha voluto dimostrare che è possibile: “Questo progetto ha aperto un nuovo modo di intendere il dialogo tra professionisti, istituzioni e comunità. Negli anni, ha ridefinito il ruolo dell’architetto, non solo progettista, ma anche interprete e mediatore di relazioni, capace di attivare processi di ascolto, partecipazione e co-progettazione”.

Insomma, l’architettura, da questo punto di vista, può essere riletta come bene comune e strumento di crescita civile, in cui si abbracciano etica, estetica e responsabilità sociale. Conclude: “Sono numerosi gli esempi che nel tempo hanno prodotto veri e propri interventi di rigenerazione urbana e sociale alle diverse scale di intervento, dall’aula scolastica agli spazi esterni delle scuole, fino a interventi di quartiere: mobilità, giochi e spazi verdi, servizi, funzionalità degli spazi urbani e delle architetture della scuola, socialità e incontro. Sono solo alcuni degli ambiti nei quali si è articolata questa straordinaria esperienza”.

Insomma, “Abitare il Paese” l’ha dimostrato: per cambiare le città bisogna partire da chi le abiterà domani.

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