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Maria Teresa Carinci e la Repubblica degli sfruttati

03.05.2024

È sempre il diritto a rincorrere la realtà e mai il contrario. Ma sei il mondo cambia, come e quando deve intervenire il legislatore? Lo spiega Maria Teresa Carinci, ordinaria di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Milano, dove insegna Diritto del lavoro e Diritto del lavoro progredito nel corso di laurea in Giurisprudenza.

Secondo l’articolo 1 della Costituzione «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», parole che tutti i cittadini italiani dovrebbero conoscere a memoria, proprio come la propria data di nascita. La legittimazione costituzionale del diritto al lavoro è la prima cosa che Maria Teresa Carinci spiega agli studenti e alle studentesse della famosa aula 208 dell’Università degli Studi di Milano, in via Festa del Perdono.

La legge stabilisce dei principi da applicare, ma la realtà si rivela un’altra e va sempre più veloce. «Il legislatore cerca di affrontare i problemi se ne rende conto ossia quando la società glielo segnala», spiega Carinci. «Due sono i fattori determinanti: il primo è la globalizzazione, ossia la competizione tra regimi giuridici diversi Paesi. Nel momento in cui è possibile acquistare servizi a costo più basso all’estero si genera un conflitto tra due sistemi giuridici diversi».

L’altro elemento è la tecnologia, che influisce sul modo con cui le aziende si procurano le prestazioni. È il caso dei rider e delle piattaforme di lavoro: «I datori stipulano dei contratti con moltissimi lavoratori, ingaggiandoli a chiamata e retribuendoli solo per il tempo in cui pedalano e per quello in cui effettuano la consegna». «Il problema è quando la tecnologia viene usata per i dipendenti assunti: ad esempio nei magazzini di distribuzione i lavoratori vengono gestisti attraverso un palmare o un tablet con gps che calcola quanto l’individuo ci mette a effettuare una mansione. Più va veloce, più l’azienda guadagna».

La modernità sembra condurre le persone in un loop autodistruttivo caratterizzato da una crescente richiesta di produttività. E questo vale sia per i subordinati che per gli autonomi, ma sono sempre quest’ultimi a godere di meno tutele e talvolta a incappare nel lavoro sommerso. «Il legislatore giuslavoristica ha introdotto due sottocategorie nell’area del rapporto autonomo – continua Carinci –. Il lavoro continuato e continuativo, che gode di poche tutele, e quello etero organizzato (d. lgs. 81/2015 n. 81, il cd Jobs Act, ndr), a cui vengono estese tutte le tutele del lavoro subordinato».

Questa potrebbe in apparenza sembrare una storia a lieto fine. Il legislatore ha in effetti fatto un grande passo in avanti, ma prevedendo una deroga: la contrattazione dei sindacati maggiormente rappresentativi può intervenire per escludere delle tutele. «Cosa che è avvenuta per i call center – dice la professoressa –. Nei fatti il sindacato si trova sotto ricatto delle aziende che minacciano di lasciare l’Italia, mandando a casa i dipendenti, e di trasferirsi in uno stato in cui il diritto del lavoro è più favorevole per il datore». Ecco lo scenario che si presenta: o il sindacato cede, o le persone si trovano senza lavoro.

In questa situazione il legislatore arranca. Non è facile intervenire: «è iniziato un processo di reinserimento di tutele forti nel diritto giuslavoristico, ma ciò richiede misure a sostegno degli imprenditori come forme di decontribuzione».

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