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Cronaca, Esteri

Riuscirà Elon a comprare la Casa Bianca a Donald Trump?

28.10.2024

Dalla donazione mensile di 50 mln di dollari, alle limitazioni anti-trumpiane su X, alla lotteria che premia i “Pro” in Pennsylvania. Potrà il più esuberante interventismo a favore di un candidato cambiare le sorti delle elezioni, e quale è il limite dell’anti-costituzionalismo in materia di endorsement in USA? Le analisi.

Elon Musk non potrà mai essere presidente degli USA. Benché popolarissimo, il proprietario di Space X è nato sudafricano e si è poi naturalizzato americano. Secondo la Costituzione, può dunque essere eletto o nominato a qualsiasi carica tranne la presidenza, che è riservata ai cittadini “natural born”. In compenso, nulla vieta che Musk si “compri” la Casa Bianca per regalarla al suo candidato preferito: oggi Donald Trump, domani chissà. O che usi, in parallelo o separatamente, il suo impero spaziale per incidere sui destini del mondo. A rendere attuale la questione è l’intervento massiccio di Musk e altri miliardari nelle fasi finali delle elezioni più ravvicinate di sempre. Anni fa, una discussa sentenza della Corte Suprema rimosse gran parte dei limiti alle donazioni da parte delle aziende, rendendo più facile ai super ricchi influenzare il risultato.

Le enormi cifre raccolte da Kamala Harris hanno in parte stemperato il timore, dimostrando che le piccole donazioni da parte di un gran numero di elettori sono ancora molto importanti. Con Musk, il discorso ha preso una piega diversa. Come nuovo proprietario di X, l’ex Twitter, ha trasformato la piattaforma social, prima rimuovendo la struttura di moderazione (e quindi dando di fatto spazio alle voci più estreme) e poi cambiando l’algoritmo per dare meno visibilità agli anti-trumpiani. Il passo successivo è stata la promessa di donare 50 milioni di dollari al mese a Trump, che per sottolineare la sua gratitudine ha incominciato a dire nei comizi che nella sua personale avversione per l’auto elettrica farà eccezione per Musk «perché mi dà tanti soldi». Un’ammissione in contrasto con la Costituzione, che vieta ai funzionari pubblici di trarre profitto personale dagli incarichi. Il terzo e più clamoroso intervento a gamba tesa di Musk è stato quello in Pennsylvania, il più grande e dunque più importante degli Stati in bilico. Il miliardario si è inventato una lotteria per premiare quanti appoggiano una petizione pro-Trump: evidente l’intento di schedare gli elettori e comprarne il voto.

L’intervento di Musk è il più appariscente, ma non l’unico. La carriera politica del candidato vicepresidente J.D. Vance è stata finanziata dal miliardario Peter Thiel, nato in Germania e anche lui dunque escluso dalla Casa Bianca. E se si prescinde dalla cittadinanza, desta preoccupazione che i proprietari del Los Angeles Times e del Washington Post, i miliardari Patrick Soon-Shiong e Jeff Bezos, abbiano ordinato ai loro giornali di non fare endorsement, ovvero schierarsi ufficialmente per l’uno o l’altro candidato. Se non è chiaro quanti voti spostino gli endorsement dei giornali, è però certo che la proprietà non abbia voluto rischiare di mettersi contro il presidente Trump, nel caso di una sua eventuale vittoria.

Rispetto agli altri miliardari, Musk ha una carta in più: le sue aziende spaziali controllano gran parte del mercato per il lancio di satelliti e attraverso la rete Starlink forniscono servizi di posizione e comunicazione a infiniti utilizzatori. Musk sa benissimo che avere o perdere l’accesso satellitare è oggi un’arma potentissima, negli affari come in politica. Lo ha già dimostrato, spegnendo il servizio in Ucraina o altrove per influenzare gli esiti della guerra. Certo, anche in passato i grandi patrimoni hanno influenzato la politica. Mai prima d’ora, però, hanno avuto insieme il potere di dettare la linea in caso di vittoria o bloccarla in caso di sconfitta. A prescindere da chi sia l’inquilina/o della Casa Bianca.

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