12 Maggio 2025
/ 12.05.2025

Ue, con l’economia circolare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro

Ma solo il 22% delle città e regioni europee ha adottato strategie complete per l’economia circolare

Ue, con l’economia circolare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro

Ma solo il 22% delle città e regioni europee ha adottato strategie complete per l’economia circolare

Il nuovo rapporto dell’Ocse, realizzato con il supporto della Commissione Europea, fotografa lo stato dell’economia circolare nelle città e regioni dell’Unione Europea, rivelando un quadro in trasformazione ma ancora frammentato. Basato su un’indagine condotta tra 64 realtà territoriali di 21 paesi, il report evidenzia progressi significativi ma sottolinea anche i limiti attuali e le sfide da affrontare per scalare davvero la transizione.

Il potenziale dell’economia circolare è enorme. Le città, responsabili del 70% dei rifiuti e fino al 75% del consumo energetico globale, possono diventare motori del cambiamento. Secondo le stime, l’adozione su larga scala di pratiche circolari nei settori dell’edilizia, della mobilità, del cibo e dell’energia potrebbe ridurre le emissioni globali di gas serra del 40-70% entro il 2050. Inoltre, il passaggio da un modello lineare (estrai-produci-consuma-scarta) a uno circolare potrebbe creare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro in Europa entro il 2030, soprattutto nei settori del riuso, della riparazione e del riciclo.

Eppure, i dati del report mostrano che la strada è ancora lunga. Solo il 22% delle città e regioni europee ha adottato strategie complete per l’economia circolare, mentre il 34% è ancora in fase esplorativa. A livello di Unione Europea, nel 2023 il tasso di utilizzo circolare dei materiali si è attestato all’11,8%, ancora molto lontano dall’obiettivo del 23,4% fissato per il 2030. E in paesi come Finlandia, Irlanda e Portogallo, il tasso scende sotto il 3%.

L’ostacolo principale non è tecnologico, ma di governance e politica economica. Le misure attuali si concentrano soprattutto sulla gestione dei rifiuti, cioè a valle del ciclo produttivo, mentre mancano incentivi efficaci per agire a monte: progettazione ecocompatibile, riduzione dell’uso di materiali vergini, riparabilità dei prodotti. In molti casi, le normative rendono più economico produrre da nuove risorse che recuperare materiali secondari. Inoltre, l’accesso ai finanziamenti resta limitato per molti enti locali, e i dati sulla circolarità a livello subnazionale sono scarsi o disomogenei, rendendo difficile misurare i progressi.

Il rapporto propone una serie di raccomandazioni concrete per colmare questi divari. Tra le più rilevanti: rendere più convenienti i prodotti circolari per cittadini e imprese, riformare la fiscalità ambientale (riducendo le sovvenzioni dannose e premiando la rigenerazione), estendere la responsabilità dei produttori, rafforzare gli appalti pubblici verdi e migliorare la raccolta dati a livello territoriale. Particolare attenzione va posta anche alla dimensione sociale e territoriale della transizione, per evitare squilibri tra aree urbane e rurali o tra regioni “vincenti” e “perdenti”.

In sintesi, l’economia circolare offre un’opportunità strategica per affrontare insieme crisi ambientale, scarsità di risorse e competitività economica. Ma servono strumenti coerenti, investimenti mirati e una visione condivisa tra tutti i livelli di governo. Le città e le regioni possono e devono essere protagoniste, ma occorre metterle davvero in condizione di agire. Il tempo delle sperimentazioni isolate è finito: ora serve una transizione sistemica, concreta e inclusiva.

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