26 Giugno 2025
/ 17.06.2025

I popoli ombra

Sono oltre 150 i gruppi umani che oggi vivono senza relazioni stabili con il resto della società. La Settimana dei popoli incontattati ci ricorda che lasciarli in pace è un dovere

Nel mondo iperconnesso, dove ogni angolo sembra a portata di click, esistono ancora popoli che scelgono l’ombra. Vivono nascosti, lontani dalle mappe turistiche e dalle rotte commerciali, perché sanno – per esperienza diretta o tramandata – che l’incontro con il “mondo esterno” può essere letale. La Uncontacted Peoples Week, che si celebra in questi giorni, è l’occasione per accendere i riflettori proprio su chi quei riflettori rifugge. Il tema di quest’anno è tanto semplice quanto potente: il diritto di rifiutare il contatto.

Sono oltre 150 i gruppi umani che oggi vivono senza relazioni stabili con il resto della società. Non un isolamento casuale: è una scelta consapevole, spesso disperata. Dai Sentinelesi delle isole Andamane ai Kawahiva dell’Amazzonia, fino agli Shompen e agli Ayoreo del Chaco, tutti hanno qualcosa in comune: storie di contatti drammatici, epidemie micidiali, massacri, terre rubate. I loro vicini hanno fatto l’errore di fidarsi, e ne hanno pagato le conseguenze. Per questo oggi questi popoli mandano segnali inequivocabili: barriere di rami, frecce incrociate lungo i sentieri, arcieri che osservano da lontano. È la loro lingua per dire: “lasciateci vivere”.

L’incursione dello youtuber

Eppure, il richiamo alla scoperta – o al contenuto virale sul web – continua a spingere alcuni a superare i limiti. L’ultimo episodio è grottesco quanto emblematico. Un giovane youtuber americano è stato arrestato in India dopo essere sbarcato illegalmente a North Sentinel Island, portando con sé una lattina di Coca-Cola da offrire agli abitanti più isolati del pianeta. “Un gesto di pace”, ha dichiarato. Un gesto che, invece, avrebbe potuto causare un’epidemia devastante per un gruppo di appena 150 persone prive di difese immunitarie contro i nostri virus. leggi l’articolo.

Non è un caso isolato. In Paraguay, gli Ayoreo che ancora vivono nella foresta del Chaco sono minacciati dall’espansione delle coltivazioni industriali e dalle strade che tagliano in due il loro territorio. In Brasile, in Rondonia, la tribù Massaco resiste grazie a politiche di protezione basate sul non contatto: le riprese aeree della Funai hanno mostrato comunità in salute, che sopravvivono grazie a caccia, agricoltura e una profonda conoscenza del loro ambiente.

Non si tratta di romanticismo, ma di diritti. Il diritto internazionale riconosce a questi popoli l’autodeterminazione e la possibilità di vivere secondo le proprie regole, anche se ciò implica l’assenza di relazioni. La loro sopravvivenza dipende da questo silenzio. Quando vengono costretti al contatto, le epidemie colpiscono spesso con una brutalità che noi, vaccinati e medicalizzati, possiamo solo immaginare. Il morbillo, il raffreddore o la semplice influenza, per loro possono essere catastrofi.

Difendere la diversità culturale

Difendere il diritto di rifiutare il contatto significa difendere la diversità culturale più estrema che sopravvive sul pianeta. Non parliamo solo di rispetto, ma di responsabilità. I popoli incontattati non tengono conferenze stampa, non scrivono appelli, non si collegano in streaming. Eppure il loro messaggio è forte: lasciateci vivere a modo nostro.

Le organizzazioni che si battono per la loro protezione – come Survival International, IWGIA e le agenzie indigene locali – chiedono ai governi di rafforzare le leggi esistenti, impedire le invasioni nei territori protetti, ascoltare le comunità indigene che già conoscono e rispettano i confini invisibili di questi mondi paralleli.

In questi giorni, anche chi vive lontano può fare qualcosa. Firmare petizioni, condividere informazioni, sostenere le Ong che difendono questi popoli, evitare la diffusione di contenuti sensazionalistici o irrispettosi. E soprattutto: cambiare il nostro sguardo. Non tutto ciò che è nascosto va scoperto. A volte, il vero atto di civiltà è saper arretrare.

In un’epoca in cui parliamo tanto di “diritto a essere visti”, i popoli incontattati ci ricordano che esiste anche un diritto opposto: quello di essere lasciati in pace.

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