L’estate europea ha fatto partire il primo allarme dell’anno. A Parigi il termometro ha superato i 42 gradi e il premier francese ha dovuto modificare i suoi impegni per seguire l’emergenza. In Spagna, in provincia di Huelva, sono stati toccati i 46 gradi. Stessa temperatura a Mora, nell’entroterra portoghese. In Grecia e Turchia la situazione è altrettanto critica. In Anatolia, un vasto incendio ha costretto all’evacuazione di interi villaggi nei pressi di Smirne. Le fiamme, alimentate dal vento e da vegetazione ormai ridotta a stoppie, sono state contenute con difficoltà da squadre antincendio e volontari. Ad Atene, le autorità hanno predisposto misure d’urgenza per proteggere monumenti storici e aree archeologiche, sempre più vulnerabili agli effetti delle alte temperature. In Italia il bollino rosso è scattato in 21 città e il livello della temperatura è tra i sospettati nelle indagini per il crollo dell’insegna di Generali sulla torre Hadid di Milano.
La prima ondata di caldo del 2025 sta investendo l’Europa meridionale con una rapidità e una forza che lasciano senza fiato. Il fronte del calore si è esteso dalla penisola iberica ai Balcani, passando per Italia, Francia e Grecia, innescando incendi, allarmi sanitari e blackout localizzati. Si tratta di un’ondata anomala per intensità e anticipo, ma non è più un’eccezione. Questa è la nuova estate, con il caldo che porta al limite della resistenza e poi la rottura violenta delle piogge, come sta succedendo in queste ore a Bardonecchia, in Piemonte, dove il torrente Frejus è esondato uccidendo un uomo di 70 anni e spingendo la sindaca a lanciare l’appello “Non avvicinarsi ai ponti ed evitare gli spostamenti”: esattamente un anno fa un’altra alluvione aveva reso il paese inagibile per 28 giorni.
Anche l’Italia è nella morsa dell’anticiclone africano. Il ministero della Salute ha indicato il bollino rosso per 21 città, tra cui Roma, Bologna, Milano e Napoli. Si segnalano punte di oltre 40 gradi nel centro-sud e temperature minime insolitamente alte, con notti tropicali che non scendono sotto i 27 gradi. A Bologna, il caldo ha raggiunto i 38,2 gradi, mentre a Capanna Margherita, oltre i 4.500 metri di quota, si sono registrate temperature superiori alla media storica di quasi dieci gradi, un’anomalia che la dice lunga su quanto anche l’alta quota stia perdendo il suo margine di protezione climatica. Le strutture sanitarie di regioni come la Toscana hanno registrato un aumento del 20% dei ricoveri per disidratazione e colpi di calore. In alcune aree è stata disposta la sospensione dei lavori all’aperto nelle ore centrali della giornata, un provvedimento che i sindacati chiedono ora di estendere su scala nazionale.
Quello che colpisce è la debolezza della reazione del governo e l’incapacità di vedere il rischio strutturale che continua a peggiorare. Le misure che molte regioni hanno messo in campo sono palliativi: dallo stop alle attività all’aperto nei cantieri, nelle cave, nei campi ai viaggi gratis sui mezzi pubblici per gli over 70 nelle ore meno calde. Di un vero piano clima nazionale, con provvedimenti efficaci per ridurre il rischio, non c’è traccia. Solo alcune città, come Roma, stanno cercando di affrontare la questione in modo sistematico: dal rilancio delle rinnovabili all’aumento del verde, dalla gestione dell’acqua a quella urbanistica.
Eppure gli scienziati del programma Copernicus e dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale ricordano che queste ondate di calore non sono episodi isolati, ma l’espressione coerente del riscaldamento globale in atto. L’Europa è tra l’altro il continente che si sta riscaldando più rapidamente: il marzo 2025 è stato il più caldo mai registrato nella storia climatica europea. L’aumento della frequenza e dell’intensità di queste ondate, spiegano i climatologi, è una conseguenza diretta dell’accumulo di gas serra e della modificazione dei regimi atmosferici. Gli effetti non sono solo termici: l’impatto sul sistema sanitario è già visibile, con una crescita esponenziale dei ricoveri nelle fasce più fragili della popolazione, mentre la perdita di raccolti, l’abbassamento dei livelli dei fiumi e la proliferazione di incendi minacciano la sicurezza alimentare e la biodiversità.
In assenza di azioni di adattamento, secondo uno studio pubblicato su Lancet Public Health, anche se il riscaldamento globale fosse limitato a 1,5 gradi, il numero complessivo dei decessi legati agli estremi termici – caldo e freddo – in Europa potrebbe salire fino a circa 450.000 l’anno entro il 2100. Nello scenario analizzato, le morti da freddo calerebbero, ma non abbastanza da compensare l’aumento di quelle causate dal caldo, determinando un bilancio netto in crescita. L’effetto combinato delle ondate di caldo più intense e più frequenti, dell’invecchiamento della popolazione europea e delle isole di calore urbana amplifica infatti il rischio, specie nelle città densamente costruite. Se poi si arrivasse a un aumento di 2 gradi, come molto probabile – secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change – la mortalità da caldo in Europa potrebbe aumentare di oltre il 200% rispetto ai livelli attuali, e di molto di più nelle città del Sud Europa.
La questione climatica, insomma, non è più una minaccia remota. È qui, nelle strade arroventate delle nostre città, nei campi bruciati dal sole, negli ospedali che devono gestire emergenze sanitarie fuori stagione. Il caldo record di questi giorni è un bollettino meteorologico, ma anche un bollettino politico. Se continuiamo a trattare il caldo come una scomodità temporanea, rischiamo di trovarci ogni estate sempre più inermi, a rincorrere l’acqua, l’ombra e il senso comune.