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Andrea Laudadio e la vera leadership

03.05.2024

Lavorare con le persone e per le persone è una grande responsabilità. Lo sa bene Andrea Laudadio, Head of Learning & Development del Gruppo TIM. Laureato in Psicologia, Economia e Scienze Politiche, Laudadio lavora da sempre nel mondo HR, come imprenditore, dirigente, docente universitario, ricercatore e consulente.

In una realtà sociale e lavorativa sempre più complessa, saper esercitare una sana leadership è fondamentale per chi si trova a gestire l’attività di un gruppo di persone, piccolo o grande che sia. Per Andrea Laudadio, fa la differenza chi è capace di essere fonte d’ispirazione, attraverso «un’attenzione e una centratura forte sulle emozioni del proprio gruppo, un ascolto attivo, empatico capace di trasformare e incanalare il percepito delle persone verso il raggiungimento di una visione sul futuro che includa anche gli altri». Del resto, «essere un capo è facile, lo dice l’organigramma. Essere leader è molto più difficile, perché a stabilirlo sono le persone». Una differenza significativa, come quella tra un anello d’acciaio dorato e uno completamente d’oro.

Dottor Laudadio, c’è ancora bisogno di leader nel mondo del lavoro?

Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che porti un po’ di luce quando siamo al buio, di leader. Ma non abbiamo più bisogno che sia sempre la stessa persona. I nuovi modelli organizzativi agili insegnano che all’interno dei gruppi ci possono essere leadership transitorie e temporanee. Si può essere leader su un’attività o su un contenuto ed essere follower su altri aspetti. Dobbiamo pensare alla leadership in modo plurale e non più al singolare. Questo richiede un cambio di mindset profondissimo. Accettare leadership situazionali e non più disposizionali, significa essere aperti all’ascolto, al dialogo, capaci di intercettare e di sommare l’altro al proprio progetto e fare della diversità una forza.

Come distinguere un’ottima leadership da una che non è tale?

Oggi la sfida della leadership è gestire i paradossi della complessità. Fare trade-off tra istanze diverse, spesso opposte. Ad esempio, da una parte c’è l’obiettivo economico, legittimo, di un’azienda, dall’altro il mantra HR: prendersi cura delle persone. Un buon leader non si colloca ad un estremo di questo paradosso, né lo nega. Ma lo interpreta, lo declina e ne accetta le contraddizioni.

Come ottenere la fiducia delle persone e cosa fare per meritarsela?

Diceva Nietzsche: “chi si scotta con l’acqua calda avrà paura anche della fredda”. La fiducia è così: se la tradisci dopo sarà difficilissimo riconquistarla. È un bene scarso e prezioso ma che rende più facile il lavoro in gruppo e l’interazione. Quando ci fidiamo, impariamo e reagiamo più velocemente, riconosciamo più facilmente il valore dell’altro e delle idee di cui è portatore. La fiducia è l’energia che tiene insieme un gruppo. Per costruire la fiducia con il proprio gruppo, l’ascolto attivo ed empatico, in una parola “il dialogo” con il proprio team, è fondamentale. Inoltre, è vitale un approccio etico, trasparente e coerente.

In che modo la leadership può essere negativa o addirittura distruttiva?

C’è una nuova sindrome dei capi, quella di Procuste. Capi che vogliono che i propri collaboratori gli assomiglino. Che preferiscono avere dei simili vicino piuttosto che punti di vista diversi, dove si colloca il maggior valore. Sono ugualmente nocive le leadership troppo seriose, quelle di chi non scherza mai, di chi ha solo il lavoro in testa. Quella leadership che, parlando sempre del punto di arrivo, si perde la bellezza del viaggio insieme, delle risate, delle battute sugli imprevisti e sugli errori. Oggi, abbiamo tutti voglia di un leader che sappia anche essere leggero, umano e soprattutto che sappia comportarsi da pari. Lavorare dovrebbe essere un piacere, ironia, humor e divertimento sono ingredienti fondamentali. E il divertimento si crea anche costruendo sfide di continuo per non avere un lavoro sempre uguale.

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