11 Dicembre 2025
/ 11.12.2025

Appennini, il progetto Ape riparte

Legambiente: "Ora o mai più". L’associazione chiede un rilancio del progetto che punta a rivitalizzare la dorsale d’Italia anche in funzione della difesa climatica

Il progetto “Ape – Appennino Parco d’Europa” compie trent’anni, ma sembra non averli vissuti: è rimasto quasi immobile dal 2006, fermo a strumenti mai davvero entrati in funzione. Eppure l’idea, nata negli anni ’90, era visionaria: considerare l’intera dorsale appenninica come un unico grande sistema ambientale e territoriale, da tutelare e rilanciare con uno sviluppo sostenibile fatto di comunità, biodiversità, servizi ecosistemici e turismo responsabile.

In occasione della Giornata internazionale della montagna, al Forum degli Appennini organizzato al ministero dell’Ambiente, Legambiente ha rimesso Ape al centro del dibattito e chiede di farlo ripartire.

Trenta anni di potenzialità inespresse

Gli Appennini attraversano l’Italia per 1.500 chilometri, occupano un quarto del territorio nazionale, ospitano oltre la metà delle superfici montane e comprendono 7,4 milioni di ettari. Sono l’area mediterranea con la più alta percentuale di protezione: 166 aree protette, 993 siti Natura 2000, riconoscimenti Unesco a pioggia. Un patrimonio enorme, che ospita 32 ecosistemi diversi, 310 specie endemiche, e popolazioni faunistiche tornate a crescere grazie ai progetti Life: dal camoscio appenninico salvato dall’estinzione, ai lupi, ai fiori rari, alla trota appenninica.

Ma questa montagna “abitata per eccellenza” – 1.601 Comuni, quasi tutti piccoli, con 3,9 milioni di residenti – vive una condizione sospesa tra spopolamento, servizi insufficienti e fragilità climatica. Paradossalmente, però, negli ultimi cinque anni c’è stato un saldo positivo di quasi centomila nuovi abitanti nei Comuni montani italiani, segnale che il desiderio di tornare in quota esiste. Manca la volontà politica per sostenerlo.

Le ragioni dello stallo

Gli strumenti attuativi del progetto Ape – la Convenzione degli Appennini del 2006 e il Programma d’azione del 2007 – non hanno infatti mai preso davvero vita. A pesare sono stati prima i terremoti del 2009 e del 2016, poi la progressiva rinuncia del ministero dell’Ambiente a guidare il percorso. E così, mentre la crisi climatica avanzava, l’Appennino rimaneva senza una regia.

Eppure Ape è stato pensato proprio per questo: trattare la dorsale come un territorio unitario, costruire politiche condivise, integrare tutela della natura e sviluppo sostenibile. L’associazione propone un pacchetto di priorità: rafforzare la governance territoriale; promuovere strategie e piani d’azione entro il 2030; inserire gli Appennini nelle reti europee di cooperazione; puntare su economia circolare e servizi per la montagna; riconoscimento dei servizi ecosistemici garantiti dalle comunità locali; ciclovie; turismo sostenibile; e – non da ultimo – la promozione della montagna come ecosistema del benessere.

Ma soprattutto, Legambiente chiede un Gruppo di lavoro permanente al ministero dell’Ambiente per attuare davvero il progetto e far vivere l’articolo 1-bis della legge 394/91, che prevede un accordo di programma per sostenere lo sviluppo economico sostenibile dell’Appennino.

Un aggiornamento urgente

Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, sintetizza la posta in gioco: la crisi climatica accelera, la biodiversità arretra, gli obiettivi europei al 2030 incombono. Serve una “rilettura strategica” del progetto, che non deve essere solo un grande contenitore di aree protette ma uno strumento di sviluppo locale coerente con le nuove sfide.
In altre parole: Ape non può limitarsi a difendere ciò che c’è; deve guidare la trasformazione.

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