Le città europee, che dovrebbero essere in prima linea nell’adattamento ai cambiamenti climatici, stanno fallendo nel compito cruciale di proteggere i propri cittadini dagli impatti già in atto. È quanto emerge da un’indagine pubblicata su Nature Climate Change e coordinata da Carbon Brief, che ha analizzato i piani di adattamento di 327 città del continente: oltre il 70% di questi risulta incoerente o carente.
Lo studio, a cui hanno partecipato ricercatori da diversi Paesi europei – tra cui l’Italia, con le ricercatrici del Cnr Filomena Pietrapertosa e Monica Salvia – ha fotografato una situazione allarmante: quasi la metà delle città valutate non ha nemmeno un piano di adattamento pubblicato, e tra quelle che lo hanno, la maggior parte presenta misure scollegate dai rischi individuati, obiettivi vaghi e processi di monitoraggio inconsistenti.
Piani sulla carta, ma senza una strategia coerente
Adottare un piano di adattamento non basta, se questo non è costruito su valutazioni del rischio aggiornate e se le azioni previste non sono coordinate tra loro. È questo il cuore dell’analisi di Carbon Brief. Nelle 167 città che dispongono di un piano, solo la metà ha collegato in modo coerente i rischi climatici identificati agli obiettivi e alle misure adottate. Ancora meno – appena il 52% – ha fatto lo stesso collegamento tra rischi settoriali (come acqua, trasporti o edilizia) e le relative politiche.
E gli esempi non mancano: 81 città segnalano l’aumento di tempeste e venti come un rischio significativo, ma solo 23 lo hanno tradotto in un obiettivo politico chiaro. Un divario simile si osserva anche in città grandi e ben dotate di risorse, come Norimberga, Stoccarda e Birmingham, che mostrano le maggiori discrepanze tra le minacce individuate e le azioni previste.
L’Europa si riscalda più rapidamente, ma si prepara poco
La contraddizione è ancora più evidente se si considera che l’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente: a una velocità doppia rispetto alla media globale. Eppure, proprio qui – dove gli strumenti finanziari e istituzionali per l’adattamento sono tra i più avanzati – manca ancora un approccio integrato e coerente.
Secondo gli autori dello studio, uno dei problemi principali risiede nella frammentazione tra le varie fasi della pianificazione. Le minacce come ondate di calore, alluvioni improvvise, incendi o siccità dovrebbero essere la base per costruire politiche concrete, ma troppo spesso rimangono semplici elenchi nei documenti ufficiali.
Gruppi vulnerabili ignorati nei processi decisionali
Un altro dato preoccupante riguarda l’attenzione – o meglio, la sua assenza – verso i gruppi sociali più esposti. Solo il 43% dei piani include misure coerenti per affrontare i rischi che colpiscono gli anziani, le persone a basso reddito o le minoranze etniche. E ancora peggio, appena l’1% delle città coinvolge attivamente queste comunità nello sviluppo delle politiche di adattamento, e solo il 4% le include nei meccanismi di monitoraggio.
Questa esclusione rappresenta non solo un problema etico, ma anche un errore strategico: sono proprio le fasce più vulnerabili della popolazione a pagare il prezzo più alto degli eventi climatici estremi, ed è quindi essenziale che siano parte integrante delle soluzioni.
Serve un cambio di rotta: adattamento basato sulla realtà
Lo studio conclude con un appello chiaro: è urgente che le amministrazioni locali e nazionali rivedano i propri piani di adattamento con un approccio più scientifico, integrato e partecipativo. Servono politiche basate su valutazioni del rischio aggiornate, obiettivi concreti, misure coerenti e un sistema di monitoraggio capace di correggere la rotta.
Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura, ma una realtà quotidiana. Le città, che concentrano la maggior parte della popolazione e delle attività economiche, devono diventare protagoniste di una trasformazione resiliente. Continuare a produrre piani incoerenti è non solo inefficace, ma pericoloso. Perché mentre le temperature salgono e gli eventi estremi si moltiplicano, ogni ritardo si traduce in maggiori costi, più danni e, soprattutto, più vite a rischio.