22 Gennaio 2025
Milano, 7°

Ambiente, Cultura, Economia, Sicurezza

Dove ha tremato, tornerà a tremare

18.01.2025

Etna, Sicilia.

La ripetuta sismicità rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili. Si lavora su progetti di delocalizzazione selettiva dove è rischioso vivere con l’obiettivo di promuovere costruzioni abitative e attività lontano da zone sismiche e vulcaniche. Considerazioni accademiche ed istituzionali.

Cosa accade alle comunità di residenti che vivono in aree ad alto rischio tellurico e vulcanico? È una domanda che ricorre da sempre e non si limita a considerare i piani di emergenza ed eventuale evacuazione elaborati dalla Protezione Civile. “Dove ha tremato, tornerà a tremare”, affermava nel ‘700 il naturalista Leclerc de Buffon. Per decenni, nonostante il progresso degli studi predittivi sui rischi derivanti da eventi calamitosi ricorrenti come terremoti, eruzioni vulcaniche, fenomeni bradisismici e alluvioni, poco o nulla si è fatto per mettere in atto una strategia di “delocalizzazione selettiva” a protezione delle persone maggiormente esposte.

L’INGV-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con l’Università di Catania, ha condotto uno studio concentrato sull’area etnea con l’obiettivo di promuovere la possibilità di costruire abitazioni e attività lontano da zone situate lungo la faglia sismica e nelle immediate vicinanze del vulcano che, con i suoi 3340 m di altezza, è il più alto d’Europa ed uno dei più attivi al mondo. Si parte dalla premessa che la ripetuta sismicità dell’area rende pericoloso ed economicamente svantaggioso ricostruire nelle zone vulnerabili. Questa considerazione è riemersa alcuni anni fa, a seguito di un evento che riaprì il dibattito sulla ricostruzione, ovvero ricostruire “dov’era e com’era” oppure scegliere soluzioni alternative. Il riferimento è al terremoto di magnitudo 5.0 che, nella notta del 26 dicembre 2018, colpì il fianco orientale dell’Etna, con epicentro nel comune di Zafferana Etnea. “Nonostante la magnitudo moderata – spiega Mario Mattia, primo Tecnologo dell’Osservatorio Etneo INGV – la ridotta profondità del sisma ha provocato ingenti danni a case e attività produttive”.

“La ricerca, condotta attraverso metodi tipici degli studi antropologici, ovvero il dialogo, la raccolta di testimonianze orali e l’osservazione attenta delle emozioni, delle pratiche, dei gesti dei sopravvissuti, ha evidenziato che la scelta innovativa, indirizzata verso una strategia di prevenzione definita “delocalizzazione selettiva”, ha considerato aspetti fondamentali spesso trascurati nelle politiche di ricostruzione post-disastro – riporta Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania – Il primo è l’adattamento socio-culturale delle famiglie colpite, che hanno progressivamente riorganizzato il proprio rapporto con il territorio, riconfigurando gli orizzonti di senso legati all’abitare in una zona a rischio sismico. Il secondo è l’importanza della mediazione istituzionale, una mediazione che, nel caso preso in esame, è stata capace di trovare un punto di incontro tra le esigenze dei cittadini e le necessità dello Stato. E, infine, l’analisi della leva economica, in quanto la valutazione dei beni perduti e l’erogazione delle somme necessarie alla ripresa hanno favorito una sintonizzazione non solo rispetto alle politiche dell’abitare, ma anche rispetto alla percezione culturale del rischio”. Il gruppo di ricerca proseguirà gli studi per sviluppare modelli di delocalizzazione partecipata e resiliente. “Al di là degli aspetti economici, la priorità resta la salvaguardia della vita umana. L’esperienza etnea potrebbe rappresentare un modello replicabile in altre aree, in Italia e nel mondo, esposte a rischi naturali ricorrenti”, conclude Mario Mattia.

Condividi