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Personaggi

Elio Biffi e i ribelli della montagna

21.08.2024

Le montagne sono le uniche testimoni di un patrimonio artistico in parte perduto. Come custodire la memoria e il suono dei canti partigiani? Ne parla Elio Biffi, polistrumentista esperto di musica folk e popolare, conosciuto al grande pubblico.

«Con le canzoni non si fanno le rivoluzioni», diceva Francesco Guccini.  Semmai è il contrario: sono le rivoluzioni, le libertà conquistate a dar vita a nuova musica. Giustissimo. La formula è bidirezionale quando gli elementi diventano persone e canzoni: sono gli uomini e le donne a fare le canzoni, e viceversa. Le parole in musica ci plasmano, ci guidano fino a diventare parte di noi.

Così è nata la storia d’amore tra Elio Biffi, polistrumentista ed esperto di musica folk e popolare, membro di una nota pop band originaria di Bergamo, e i canti custoditi dai partigiani delle montagne. È stata la Resistenza, la lotta portata avanti durante la Seconda Guerra Mondiale dai partigiani contro l’occupazione nazista in Europa, a creare un repertorio preziosissimo di musiche e poesie, e non viceversa. Canti di speranza, canti per trovare il coraggio di combattere, canti per farsi compagnia nelle sperdute montagne, dove si nascondevano dal nemico in uno dei periodi più tristi della storia del nostro Paese.

«Mi sono avvicinato alla cultura dell’antifascismo durante gli anni liceali – spiega Biffi –. Per sensibilità personale e grazie ai contesti artistici frequentati all’epoca, attraverso cui ho conosciuto un certo tipo musica, di filmografia e di letteratura che mi hanno segnato molto». È la dinamica dell’oppresso che si rialza per riconquistare ciò che ha perso ad affascinare Elio Biffi, a tal punto da iniziare un lavoro di ricerca storica tra il liceo e l’università.

«Il mio interesse è più storico e artistico che militante – aggiunge Biffi –. Non sono tesserato, pur essendo vicino a realtà che praticano l’attivismo politico. Io credo che sia giusto e sacrosanto sostenere i valori dell’antifascismo, ma che tutto questo debba essere riadattato al contemporaneo: ciò a cui stiamo assistendo è qualcosa di totalmente diverso da quello che hanno dovuto combattere i partigiani. A tempi diversi, più moderni, servono nuovi strumenti per contrastare i nostalgici del fascismo, i reazionari, l’estrema destra».

Cosa rimane quindi della Resistenza? «I sentimenti e un repertorio artistico che non dobbiamo dimenticare. Queta arte è memoria, che si preserva con i gesti performativi». Una dimensione che in parte abbiamo perso: negli anni ’40 non c’erano audio registratori pronti a incidere su nastro l’arte preziosa dei canti partigiani. «È il mondo della trasmissione orale, popolare, dell’interpolazione continua – dice Biffi –. Un mare magmatico difficile da contenere. Noi raccontiamo che quelle della resistenza sono solo canzoni. Ma è molto più complesso: un canto può avere cinque varianti che noi siamo stati fortunati a registrare, ma potrebbero essercene anche dieci di versioni».

In un periodo di guerra cantare è una forma di piacere gratuito per sentirsi uniti e uguali: «i contadini arrivati sui monti per fare la Resistenza si tenevano compagnia con la musica; il canto scandiva i momenti sacri e quelli del lavoro – continua il musicista –. Le canzoni avevano una funzione militare importantissima: davano il ritmo, la forza per agire e il cosiddetto senso di corpo, ossia il senso di appartenenza a un particolare battaglione».

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