Gli storici documenteranno che non c’è stata nessuna conseguenza alla Mongolia per non aver arrestato Putin durante la sua recente visita. Come lo è per il Sudafrica, geopolitica e confini, per molti versi, possono non favorire il rispetto delle decisioni CPI. Analisi approfondita.
La visita di Vladimir Putin in Mongolia rinfocola la battaglia tra giuristi e scienziati politici sulla natura e l’esistenza del diritto internazionale. In teoria – o meglio, secondo il trattato liberamente sottoscritto – la Mongolia avrebbe dovuto eseguire il mandato di cattura emesso nel 2023 dalla Corte Penale Internazionale e arrestare il presidente russo per l’accusa di deportazione illegale di bambini ucraini. In pratica, Putin è stato accolto con tutti gli onori, come se il mandato non esistesse.
Per i realisti, è la conferma del fatto che i rapporti di forza prevalgono sul quadro giuridico teorico. Nata cent’anni fa dalla lotta d’indipendenza dalla Cina di Damdin Sukhbataar (il “rosso eroe” da cui trae nome la capitale Ulaanbataar), la Mongolia è grande due volte il Texas, ma ha soli 3,3 milioni di abitanti. La posizione geografica, costretta tra la Russia a nord e la Cina a sud, senza sbocchi al mare, si rispecchia nei suoi legami politici e militari con la prima ed economici con la seconda, che assorbe il 78% delle sue esportazioni. Si tratta di un esempio perfetto di geopolitica: è, infatti, questa geografia a rendere surreale l’ipotesi che la Mongolia politica possa mettersi contrasto con i suoi potenti e ingombranti vicini.
La controprova viene dal Sudafrica, che, per quanto membro con Russia e Cina dei cosiddetti BRICS, un anno fa rifiutò la visita ufficiale di Putin proprio per non dover arrestare il capo di un Paese amico. A consentirlo fu, anche in questo caso, la geografia: pur avendo un’area sostanzialmente simile alla Mongolia, il Sudafrica ha libero accesso al mare e non confina con alcun altro BRICS. Anche per Pretoria il primo partner commerciale è Pechino, ma con una quota del 16% che sconsiglia di inimicarsi USA e Germania (7% ciascuno) o Giappone (6%). Questa geografia economica consente al Sudafrica di mantenere un alto livello di indipendenza politica dai propri alleati e quindi – in questo caso – di non cedere alle pressioni di chi cerca disperatamente di mostrare di non essere isolato.
A ulteriore conferma della fragilità del diritto internazionale, i realisti possono addurre la mancanza di sanzioni per chi non rispetti le decisioni della CPI. È del tutto chiaro che il non aver arrestato Putin non comporterà nessuna conseguenza alla Mongolia, al suo presidente Ukhnaagiin Khurelsukh e al suo primo ministro Luvsannamsrai Oyun-Erdene. Nessun Paese romperà le relazioni diplomatiche con la Mongolia, nessuno ne arresterà i vertici per aver ricevuto un ricercato. In questo senso, Putin ha dimostrato ancora una volta di potersi fare beffe del diritto internazionale.
In realtà, la mancata visita a Pretoria e quella effettuata a Ulaanbataar confermano che, per quanto malconcio, il diritto internazionale funziona. Proprio perché è costretto a visitare solo Paesi insignificanti o in difficoltà nella comunità internazionale – si pensi alla Corea del Nord, Putin di fatto riconosce che il suo modo di agire lo costringe a muoversi in un ambito ristrettissimo, che non comprende neppure gli altri BRICS, molti dei quali sono vulnerabili a eventuali sanzioni internazionali o persino unilaterali. Basti pensare al jet privato del presidente venezuelano Maduro, al quale non è bastata l’immatricolazione sul registro aeronautico di San Marino per sfuggire al sequestro da parte degli Stati Uniti.
Lo scontro tra giuristi e scienziati politici potrebbe quindi chiudersi in pareggio. Al giudizio finale penseranno gli storici. Ma solo tra qualche decennio!