15 Marzo 2025
/ 27.01.2025

La Striscia di Gaza tra genocidio ed ecocidio

Nelle prime ore di oggi, lunedì 27 gennaio 2025, migliaia di palestinesi hanno iniziato a fare ritorno nelle aree settentrionali della Striscia di Gaza, dopo essere stati bloccati per mesi dall'Israel Defense Forces, l’esercito israeliano.

Nelle prime ore di oggi, lunedì 27 gennaio 2025, migliaia di palestinesi hanno iniziato a fare ritorno nelle aree settentrionali della Striscia di Gaza, dopo essere stati bloccati per mesi dall'Israel Defense Forces, l’esercito israeliano.

Eppure, una soluzione sostenibile per il futuro della Palestina appare ancora lontana, in un contesto in cui pochi giorni fa il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, proponeva che Egitto e Giordania accogliessero i palestinesi evacuati dalla Striscia, suggerendo un possibile trasferimento di massa per “ripulire” l’area e facilitare la ricostruzione. Una proposta – accolta con favore dai ministri israeliani dell’estrema destra, come Bezalel Smotrich – che per i palestinesi rilancia l’incubo di una nuova Nakba, la catastrofe, l’espulsione dopo la guerra del 1948.

La guerra a Gaza – che ha subito un’escalation dopo il drammatico massacro del 7 ottobre 2023, con oltre 1.400 israeliani uccisi da Hamas – non solo provoca sofferenze umane inimmaginabili, ma lascia dietro di sé cicatrici indelebili anche sull’ambiente. In una regione già martoriata da decenni di occupazione, bombardamenti e isolamento economico, le conseguenze ambientali si intrecciano con una crisi umanitaria che negli ultimi quindici mesi ha raggiunto proporzioni catastrofiche. Al genocidio si somma l’ecocidio.

Uno degli effetti più gravi dell’offensiva israeliana è infatti la contaminazione delle risorse idriche. La Striscia di Gaza dipende principalmente da un’unica falda acquifera, che già prima del conflitto era in gran parte inutilizzabile a causa dell’intrusione salina e degli scarichi non trattati. I bombardamenti hanno distrutto infrastrutture critiche come stazioni di depurazione e condutture idriche, aggravando ulteriormente il problema. Quasi la totalità dell’acqua a Gaza oggi è considerata non potabile, in questo modo milioni di persone sono costrette a dipendere da forniture esterne o da fonti contaminate, con gravi ricadute sulla salute.

Le acque reflue non trattate vengono riversate nel Mediterraneo favorendo un inquinamento diffuso che non si ferma ai confini della Striscia. Si tratta di un problema che colpisce anche le zone costiere circostanti, con effetti a lungo termine sulla biodiversità marina e sulle economie locali che dipendono dalla pesca.

I raid aerei e l’uso indiscriminato dell’artiglieria hanno devastato vaste aree agricole di Gaza, privando la popolazione di una delle poche fonti di sussistenza rimaste. Il suolo, già impoverito dalla scarsità di risorse e dalla sovracoltivazione forzata, è stato ulteriormente contaminato da residui chimici provenienti dagli armamenti.

L’uso massiccio dei bombardamenti, oltre a provocare la morte di migliaia di civili, ha rilasciato nell’ambiente sostanze tossiche come metalli pesanti e composti chimici che penetrano nel terreno, rendendolo inadatto alla coltivazione per anni, talvolta decenni. Tutto ciò ha conseguenze dirette anche sull’aria che si respira, a Gaza. Esplosioni, incendi e distruzione di infrastrutture – industriali e non – rilasciano nell’atmosfera particelle nocive che aumentano i rischi per la salute, soprattutto tra i bambini e gli anziani.

Recenti studi hanno evidenziato l’elevata presenza di diossine, idrocarburi policiclici aromatici e altri composti tossici: questi inquinanti sono collegati a malattie respiratorie, cardiovascolari e oncologiche, aggiungendo così un ulteriore carico alle strutture sanitarie già al collasso.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) ha pubblicato una valutazione preliminare che evidenzia nella Striscia di Gaza impatti ambientali senza precedenti. Il rapporto sottolinea, appunto, un rapido aumento dell’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria, con rischi di danni irreversibili agli ecosistemi naturali e gravi conseguenze a lungo termine per la salute umana.

Gli incendi causati dai raid aerei devastano le aree verdi e colpiscono l’habitat di numerose specie animali; l’inquinamento delle acque marine e costiere ha già portato a una diminuzione significativa di specie ittiche e di altri organismi marini fondamentali per l’equilibrio ecologico. Il disastro ambientale contribuisce a rendere impossibile la vita a Gaza ed è di fatto un altro strumento per spopolare la regione. La distruzione delle infrastrutture critiche, l’embargo sui viveri essenziali e l’isolamento economico rappresentano, secondo la Corte Penale Internazionale, crimini contro l’umanità. L’occupazione militare e il regime di apartheid, in vigore da decenni, costituiscono una violazione sistematica del diritto internazionale. La popolazione civile di Gaza è intrappolata in una prigione a cielo aperto – ormai un’immensa distesa di macerie – ed è esposta alla brutalità della guerra e a un collasso ambientale che aggrava la già insostenibile crisi umanitaria.

Il caso di Gaza è un chiaro avvertimento per il futuro: i conflitti armati non annientano solo vite umane, ma compromettono la vitalità di interi territori, lasciando danni che richiederanno tempi lunghissimi per essere riparati. Di fronte a questo scenario, il silenzio è complicità.

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