2 Maggio 2024
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Ambiente, Cronaca

L’inquinamento occulto, incubo ma vero

19.04.2024

L’Uomo si rivela, sempre di più, primo nemico dell’ambiente. La verità è che abbiamo un’idea solo vaga dei danno provocati dallo sviluppo industriale su mari e oceani. Tonnellate e tonnellate di rifiuti invisibili nascosti nei fondali. Le analisi.

L’incubo dell’inquinamento da plastica attanaglia il mondo intero, soprattutto quando ci concentriamo sulle condizioni dei mari e degli oceani provocate dalla superficialità e dall’incuria dell’uomo. La verità, però, è che abbiamo un’idea solo vaga e certamente imprecisa sui danni che abbiamo provocato nel corso dei decenni. E ai quali, soprattutto, è estremamente difficile porre un reale rimedio.
Spesso ci si concentra, infatti, sulla plastica che galleggia sulla superficie degli oceani. Il vero problema, come si dice in questi casi, sta però più in profondità. E più di quanto immaginiamo. Lo spiega senza giri di parole un recente studio condotto dall’Agenzia scientifica nazionale dell’Australia (Ciro), in collaborazione con l’università di Toronto, in Canada: il primo della storia a concentrarsi in particolare sull’impatto dell’inquinamento da materie plastiche non semplicemente in mare, ma nei fondali.

Ebbene: i numeri sono arrivati, sfruttando il raffronto tra i dati sulla produzione della plastica e quelli relativi al suo smaltimento. E fanno rabbrividire: i ricercatori hanno infatti creato un modello che permette di calcolare la quantità di questi rifiuti, e anche la sua distribuzione negli oceani. E si parla di un minimo di 3 tonnellate di plastica (mole già di per sé immensa) adagiate sui fondali marini. Ancora più inquietante la stima massima: 11 tonnellate. Ossia 100 volte di più rispetto ai rifiuti che si trovano in superficie a livello globale.
Una vera e propria montagna, anzi si potrebbe dire una catena montuosa di spazzatura. Che però spesso risulta addirittura invisibile: per buona parte si compone, infatti, di microplastiche, derivanti dalla frammentazione di prodotti di cui l’Uomo si è sbarazzato nel più superficiale dei modi (un triste “classico” sono le particelle degli pneumatici, che dopo essersi staccate si disperdono e si mischiano alla sabbia sottomarina). Il resto sono veri e propri oggetti in plastica ancora integri: questi ammontano al 54% totale dei rifiuti.

Lo studio aggiunge che, sebbene la plastica prodotta dall’Uomo si concentri nelle aree marine vicine ai continenti, in realtà tutte queste tonnellate di immondizia non faticano a spargersi in buona parte degli oceani. E, come detto, l’idea che «galleggino» è un colossale falso storico: solo il 46% della massa plastica dispersa in mare si troverebbe compresa tra gli 0 e i 200 metri di profondità.
Un disastro di proporzioni planetarie, come ha sottolineato la coordinatrice della ricerca, la dottoressa Denise Hardesty: «Ormai, quando si recuperano rifiuti in fondo al mare, la maggior parte è di plastica. Questo rende i fondali una delle discariche a lungo termine più immense al mondo. Un vero disastro, anche perché la produzione è sempre più alta. Entro il 2050 si stima che raggiungerà i 26mila milioni di tonnellate metriche di resina vergine. Metà di questo materiale è un potenziale rifiuto che si aggiungerà a quelli già presenti. E in tutto questo mancano reali politiche, strategie o progetti per la rimozione di tutta questa spazzatura».

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