02.08.2024
Mario Brunello è uno dei pochi al mondo, forse l’unico, a essere entrato in simbiosi con la montagna e con la musica.
Il 21 febbraio 2024 si trovava, ancora una volta, nelle sue amate Dolomiti. Non è un caso se la vita ha portato Mario Brunello a essere da ventinove anni il direttore artistico de “I suoni delle Dolomiti”, meraviglioso festival che da quasi trent’anni porta la musica, dalla classica, al jazz, al folk, fino al pop, sulle cime dei monti. Tra albe e tramonti mozzafiato, l’edizione 2024 della rassegna si terrà dal 28 agosto al 29 settembre: diciotto eventi in luoghi raggiunti a piedi dal pubblico e dai musicisti.
Mario Brunello, violoncellista dotato di un talento e di una libertà espressiva fuori dal comune, è stato primo artista europeo ad aver vinto il Concorso Čaikovskij a Mosca nel 1986. Nella sua affascinante visione dell’esistenza due cose non possono mancare: musica e montagna, entrambe una conquista
Ecco perché Brunello, il 21 febbraio scorso, ha preso il suo violoncello e si è recato nel lariceto secolare di Fiames, ai piedi del Col Drusciè, nel comune di Cortina D’Ampezzo, palcoscenico delle Olimpiadi invernali 2026. I larici sono stati abbattuti per costruire una nuova pista da bob in vista delle Olimpiadi.
Maestro Brunello, cosa è successo il 21 febbraio 2024 e perché ha deciso di agire?
Ho suonato il violoncello per dar voce a cinquecento larici mentre venivano abbattuti per fare spazio alle strutture delle olimpiadi invernali 2026. Alberi secolari che non hanno potuto vivere di musica. Nessuno li ha ascoltati, quindi ho pensato fosse giusto far sentire il loro ultimo grido eseguendo per loro il “Canto del cigno”. In un momento di emergenza ambientale come quello attuale si è preferito soddisfare l’interesse politico ed economico, anziché fare qualcosa a favore degli esseri che ci donano l’ossigeno e ci permettono di vivere. Non sarebbe stato grandioso e visionario se in previsione dei giochi olimpici invernali
Qual è il suo rapporto con le montagne?
Fanno parte della mia vita da sempre. Da Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, dove sono nato e ora da Vallà, poco distante, vedo tutti i giorni le Prealpi. Con il mio violoncello in spalla (un Maggini del Seicento, ndr), sono salito ovunque. Non mi riferisco solo alle Dolomiti: sono arrivato anche sul Monte Fuji in Giappone, sull’Himalaya in Tibet, e in Patagonia. Salire sulle vette, arrampicarsi è per me come scoprire la profondità delle cose, anche se sto camminando verso l’alto.
Dal 1995, anno della fondazione, lei è il direttore artistico de “I suoni delle Dolomiti”. Come è nato il festival?
È nato il 1° luglio 1995 nei pressi del Rifugio Brentei, nel cuore delle Dolomiti di Brenta grazie alla visione e al sogno di Paolo Manfrini e Chiara Bassetti. Grazie al festival, si sono esibiti in quota artisti di prestigiosa fama nazionale e internazionale, e con loro tantissimi amanti della musica e della montagna. “I Suoni delle Dolomiti” è diventata una rassegna di pari livello dei grandi festival europei, capace di includere tutti i tipi di musica world music alla classica, dalla canzone d’autore al jazz.
L’anno scorso è stato stilato il manifesto de “I suoni delle dolomiti” di cosa si tratta?
13 parole rappresentano lo spirito del festival: ascolta, Dolomiti, suoni, spazi aperti, silenzio, luce, terre alte, camminare, impegno, condivisione, rispetto, accessibilità e tradizione. Parole legate l’una all’altra in modo indissolubile e che attestano l’unicità della rassegna.