Sul Monte Bondone, in Trentino, il via alla stagione sciistica è stato affidato a un’immagine surreale: cumuli di neve portati in quota da un elicottero nel tentativo di garantire l’apertura delle piste per il ponte dell’Immacolata. Quaranta voli in quattro ore hanno trasferito tonnellate di neve conservata in una zona d’ombra, dove il gelo aveva resistito un po’ più a lungo alle temperature insolitamente alte. Una scelta estrema con un obiettivo preciso: evitare che i tour operator dirottassero i clienti verso località meno vulnerabili al caldo fuori stagione.
Il conto ambientale di una corsa contro il clima
L’operazione ha avuto un prezzo economico tutto sommato contenuto per i gestori, ma un impatto ambientale significativo. L’elicottero e i gatti battipista utilizzati per raccogliere e ridistribuire la neve hanno immesso nell’atmosfera oltre una tonnellata e mezza di CO₂ in poche ore. Un paradosso evidente: bruciare carburante per rimediare a un problema – l’assenza di neve – generato proprio dal surriscaldamento globale. Nel frattempo, lo zero termico ha superato stabilmente i 3.500 metri, rendendo inefficaci anche gli impianti di innevamento artificiale, mentre la neve caduta un mese prima si scioglie persino di notte.
Le immagini dell’elicottero che solleva enormi palle di neve hanno scatenato reazioni indignate da parte di climatologi e associazioni ambientaliste. I ghiacciai trentini hanno perso altri 18 metri di lunghezza in media nell’ultimo anno, mentre i fenomeni di fusione precoce diventano la norma. In questo contesto, consumare acqua, energia e carburante per tenere in piedi piste che non tengono più viene descritto come un boomerang economico e ambientale.
Chi doveva vigilare?
Il caso è diventato rapidamente politico. Dodici associazioni ambientaliste – tra cui Wwf, Legambiente, Mountain Wilderness, Italia Nostra e Lipu – denunciano un’operazione definita “grave e inaccettabile”, resa ancor più discussa dal coinvolgimento, come socio degli impianti, del Comune di Trento. L’amministrazione sostiene di non essere stata informata e giudica la scelta non replicabile. La vicenda dovrebbe approdare anche a Roma: si chiede infatti se sia ammissibile usare fondi pubblici per pratiche che contrastano apertamente con gli impegni climatici e con il principio di tutela del paesaggio alpino.
Dal settore turistico arrivano voci che minimizzano, ricordando come gli elicotteri siano già indispensabili per soccorsi, rifornimenti e manutenzione dei rifugi. Ma questa difesa non tocca il punto centrale: l’inverno alpino sta cambiando troppo rapidamente perché il vecchio modello possa reggere. Se la neve naturale non arriva e quella artificiale non attecchisce, rincorrere un’immagine del passato rischia di essere economicamente insostenibile. È in gioco non solo la stagione sciistica, ma la necessità di immaginare una montagna alternativa, capace di vivere anche senza il bianco garantito di dicembre.
