Il 79% degli italiani ritiene che la transizione ecologica faccia bene non solo all’ambiente, ma anche all’economia, alle imprese e al portafoglio delle famiglie. Un dato che smentisce la retorica del “verde che costa” e suggerisce invece che gli italiani vedano nell’innovazione ambientale una leva per la competitività industriale. Il 40% crede che i green jobs cresceranno, mentre solo il 14% prevede una contrazione. Numeri che salgono sensibilmente tra chi ha familiarità con il concetto di economia circolare. Sono i dati che emergono dal primo giorno dell’Ecoforum 2025 di Legambiente, Kyoto Club e Nuova Ecologia, dove è stato presentato un nuovo sondaggio Ipsos sul rapporto degli italiani con la sostenibilità
Ma è sul tema dell’energia che si registra un consenso ancora più netto: il 91% degli intervistati non vuole centrali nucleari vicino casa. Di questi, il 39% le respinge totalmente, mentre la restante parte le accetterebbe solo a distanza di sicurezza, 50 o 100 km. Il ritorno all’atomo, secondo il 62% degli italiani, è una promessa vuota o destinata a maturare troppo tardi, magari tra vent’anni. Meglio allora puntare su rinnovabili e impianti diffusi, con un 47% che chiede più incentivi e un 36% che reclama procedure autorizzative più snelle.
Tre leve per il Clean Industrial Deal
È in questo contesto che Legambiente ha rilanciato la sua proposta per un Clean Industrial Deal tutto italiano. Tre le leve: sbloccare gli investimenti del PNRR per impianti e raccolta differenziata, semplificare e velocizzare i decreti End of Waste, fondamentali per il riutilizzo delle materie prime seconde, rafforzare i controlli ambientali completando l’attuazione della legge 132 del 2016 sul Sistema nazionale di protezione ambientale. “Solo puntando su produzioni circolari e fonti rinnovabili – ha dichiarato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – si può ridurre il peso della bolletta e creare nuova occupazione, senza inseguire miraggi costosi e irrealizzabili come il nucleare”.
Un giudizio condiviso da Francesco Ferrante del Kyoto Club, che ha messo in guardia dal pericoloso disallineamento tra politica e realtà industriale. “Mentre in Europa si tentenna sul Green Deal e si rallenta sulla direttiva contro il greenwashing – ha detto – le imprese italiane della green economy continuano a investire, a crescere e a produrre ricchezza e lavoro. Il ‘verde’ non è una moda, è già convenienza concreta”.
Leadership italiana
Anche sul fronte del riciclo degli imballaggi, l’Italia conferma la sua leadership con un tasso del 76,7% sull’immesso al consumo. Ma secondo Conai, occorre consolidare i risultati con più investimenti, ecodesign, incentivi mirati e un’azione decisa per ridurre i divari territoriali.
Infine, l’Ecoforum ha acceso i riflettori sulle criticità ancora aperte: dai ritardi nella raccolta differenziata del tessile, alla mancanza di impianti per il riciclo dei pannolini, fino alla lentezza nel trattamento dei RAEE, che ci tiene lontani dagli obiettivi europei sulle materie prime critiche. Per ognuno di questi settori, le proposte non mancano: reti impiantistiche da rafforzare, sistemi EPR da attivare, decreti da approvare. Ma serve una volontà politica all’altezza del potenziale che queste filiere esprimono.