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Food, Sostenibilità, Speciali

Una vera carneficina

01.02.2024

Un quadro scioccante. Fin quando gli esseri umani continueranno a mangiare gli animali? Con la popolazione mondiale verso i 10 miliardi, la quantità di carne che mangiamo è triplicata, consumarla a dismisura è diventato insopportabile per l’ecosistema, sono necessarie altre alternative. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha presentato nei giorni scorsi un documento congiunto che affronta il tema.

I dati recenti sul consumo di carne, pubblicati dal World Economic Forum, parlano chiaro: sulle tavole degli 8 miliardi di esseri umani finiscono, ogni anno, 50 miliardi di polli, 1,5 miliardi di mucche un miliardo di maiali. Non solo, sono poche le specie che sfuggono alla nostra voracità: tra i consumi annuali anche 50mila tartarughe, 800mila cammelli, 10 milioni di gatti e ben 25 milioni di cani. Ma anche iguane, squali, piccioni… Una carneficina. Letteralmente. La carne può essere un argomento delicato. I vegani rigorosi e i carnivori impenitenti raramente trovano un terreno comune. E c’è chi si commuove di più davanti a un abbacchio che agli occhi teneri di un agnellino. Ma ci sono dei dati oggettivi.

Negli ultimi 50 anni il numero delle persone sul pianeta è raddoppiato. Ma la quantità di carne che mangiamo è triplicata. La maggior parte di questa crescente domanda proviene dai paesi a reddito medio, e in particolare dalla Cina, che è diventata il più grande consumatore mondiale di carne durante il boom economico. Al contrario, l’appetito per la carne in Europa e Nord America si è stabilizzato, se non addirittura diminuito. Invece l’India, nonostante abbia rapidamente raggiunto la Cina in termini di popolazione, consuma ancora una piccola parte della carne mondiale, per tradizione culturale e religiosa.

Il costo ambientale del nostro crescente appetito per la carne è allarmante. L’agricoltura è responsabile del 10-12% delle emissioni di gas serra, di cui quasi i tre quarti sono prodotti dall’allevamento di carne, pollame e latticini. L’allevamento della carne produce emissioni per caloria molto più elevate rispetto alle verdure e il manzo è di gran lunga il colpevole peggiore, quattro volte più del pollo o del maiale.
Inoltre, l’allevamento di bestiame richiede molta più terra rispetto ad altre forme di agricoltura, il che provoca la deforestazione. La più grande popolazione di bovini al mondo si trova in Brasile, dove il numero è quadruplicato in 50 anni, una tendenza che ha portato alla distruzione di vaste aree della foresta amazzonica. Non solo: c’è il consumo di suolo per la produzione di alimenti per animali (un terzo del grano mondiale è destinato all’alimentazione del bestiame) ed il grande consumo d’acqua.

Tuttavia carne, latticini, pesce e uova forniscono il 40% delle proteine consumate a livello globale e in molte parti del mondo non esiste ancora un’alternativa sicura. A livello occupazionale, inoltre, si stima che un miliardo di persone siano coinvolte nell’allevamento, nella lavorazione, nella distribuzione e nella vendita del bestiame, e la metà di queste dipende dal bestiame per il proprio sostentamento. L’agricoltura nel suo complesso rappresenta circa il 3% del PIL globale, di cui il 40% è rappresentato dal bestiame. L’economia dell’allevamento è particolarmente importante per le popolazioni rurali povere nei Paesi a basso e medio reddito.

Quel che è certo è che, con la popolazione mondiale che si sta avviando ai 10 miliardi, le attuali tendenze nel consumo e nella produzione di carne non possono essere sostenibili. Per questo è in corso la ricerca di alternative che soddisfino il gusto dei consumatori. Un approccio è la progettazione di sostituti della carne a base vegetale o fungina, per conferire ai prodotti iil gusto e la consistenza del manzo, del maiale o del pollo. E ci sono tentativi di rendere gli insetti – già mangiati in alcune parti dell’Asia e dell’Africa – una scelta più popolare nei menù di tutto il mondo.

Infine, c’è la coltivazione di cellule animali in laboratorio, la cosiddetta “carne sintetica”, che ha le stesse proprietà di quella “vera”, ma senza le controindicazioni degli allevamenti, inclusa la morte dell’animale. Nonostante gli investimenti mondiali in questo settore siano di circa 1,4 miliardi di dollari (di cui metà negli Usa e un terzo in Israele) in Europa non tutti sono d’accordo, con l’Italia capofila nel vietarne la produzione e la commercializzazione per legge.
Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha presentato nei giorni scorsi un documento congiunto redatto insieme ai rappresentanti di Parigi e Vienna, Marc Fesneau e Norbert Totschnig, e sostenuto da altre nove delegazioni (Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania e Slovacchia) per porre l’attenzione della Comunità sul tema. Al momento del dibattito, del resto, a esprimersi contro il testo sono stati solo Danimarca e Paesi Bassi, che da anni fanno del cibo sintetico una questione di opportunità e che assicurano la loro volontà di continuare a investire nello sviluppo del novel food. Dal canto suo, Bruxelles – che non ha ancora ricevuto richieste di immissione in commercio di carne coltivata – assicura il suo ruolo di garante della sicurezza tramite regole “molto rigide”.

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