Nella battaglia per rendere più sicure le nostre città abbiamo trovato un nuovo alleato: i ricci. Questi piccoli mammiferi notturni ci possono aiutare a comprendere e monitorare l’inquinamento delle aree urbane. Ogni notte, infatti, percorrono chilometri tra i parchi, giardini urbani e marciapiedi per andare alla ricerca di cibo e finiscono spesso per accumulare dentro di sé le tracce delle sostanze tossiche disseminate nell’ambiente.
A rivelare questa possibilità è un recente studio condotto dall’Università di Lund, in Svezia, che ha messo in luce come i ricci possano funzionare da “bioindicatori” naturali, capaci di raccontare attraverso il loro corpo le condizioni di salute degli ecosistemi urbani. Proprio come avviene con i “cugini” marini, i ricci di mare, che spesso sono fondamentali per tracciare una sorta di impronta digitale dell’inquinamento che ci circonda.
Undici metalli pesanti e pesticidi
Ma facciamo un piccolo passo indietro: come nasce questo progetto? L’università svedese ha pensato a un approccio innovativo: grazie alla collaborazione dei cittadini, i ricercatori hanno raccolto i corpi dei mammiferi morti nella regione di Skåne, portando via sia esemplari investiti, sia esemplari deceduti in centri di riabilitazione per fauna selvatica. Risultato? L’analisi dei loro corpi ha permesso di identificare la presenza di ben 11 metalli pesanti e 48 composti organici inquinanti.
In particolare, sono emersi dati allarmanti: nei tessuti di questi piccoli mammiferi si sono trovate concentrazioni elevate di piombo, ftalati – additivi plastici noti per i loro effetti da interferenti endocrini -, pesticidi, ritardanti di fiamma bromurati e idrocarburi policiclici aromatici (i cosiddetti IPA), derivati dalla combustione dei combustibili fossili. “Questi risultati dimostrano quanto gli ambienti urbani, dove vive la maggior parte della popolazione mondiale, siano contaminati da sostanze chimiche pericolose”, ha spiegato Maria Hasson, biologa ambientale e coautrice dello studio.
Per arrivare a queste conclusioni, gi scienziati hanno esaminato e analizzato diversi tessuti dei ricci: gli aculei e i denti per analizzare l’esposizione a lungo termine a metalli pesanti, e il fegato, per valutare la contaminazione più recente da composti organici volatili. Un metodo, questo, che ha permesso di restituire una fotografia dettagliata (e inquietante) dell’inquinamento urbano.
Ricci come indicatori ambientali
Insomma, l’importanza di questi piccoli mammiferi va oltre il semplice dato scientifico: i ricci possono aiutare a capire non solo quanto un ambiente sia inquinato, ma anche da dove arrivano le sostanze nocive. Come? Essendo animali che si muovono su vaste aree e si alimentano di insetti e invertebrati a diretto contatto con il suolo e la vegetazione, i ricci accumulano nel loro organismo una varietà di contaminanti ambientali che riflettono la complessità delle fonti di inquinamento.
Nello specifico, secondo gli esperti, monitorare questi animali potrebbe diventar uno strumento efficace anche per tracciare le origini degli inquinanti: ad esempio, il piombo nei loro tessuti può derivare da vecchie vernici, traffico automobilistico e suolo contaminato da attività industriali pregresse; gli ftalati e i ritardanti di fiamma possono invece essere collegati al degrado di materiali plastici, mobilio ed elettronica urbana. Inoltre, considerando che i ricci sono mammiferi come gli esseri umani, la loro esposizione a certe sostanze nocive offre un campanello d’allarme diretto sui rischi per la salute umana. Molti degli inquinanti rilevati, infatti, sono noti per i loro effetti cancerogeni, mutageni e per l’impatto sulla fertilità e sullo sviluppo embrionale.
Un ecosistema urbano tutt’altro che sicuro
Dunque, le fonti di contaminazione sono ovunque: materiali da costruzione, plastiche, pesticidi, traffico veicolare, rifiuti urbani e persino il terreno dei parchi pubblici. Gli idrocarburi policiclici aromatici, per esempio, si formano durante la combustione di carburanti e sono associati ad attività industriale e trasporti; i pesticidi, invece, sono ancora largamente utilizzati nella manutenzione di spazi verdi, e possono persistere a lungo nel suolo, entrando così all’interno della catena alimentare.
Insomma, alla luce di questi risultati diventa evidente la necessità di intensificare il monitoraggio ambientale urbano. Perché non basta creare più aree verdi, ma bisogna anche gestirle bene: intervenire sulle fonti di contaminazione, regolamentare in modo più stringente l’uso di sostanze chimiche pericolose; bonificare i suoli contaminati. E nel frattempo i ricci continueranno ad essere le nostre sentinelle silenziose.