C’è un’Italia che si muove sotto traccia, che non fa rumore ma costruisce futuro. È l’Italia delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer), una rete diffusa e in crescita di cittadini, enti locali, imprese e associazioni che scelgono di produrre e condividere energia pulita. Fino a ieri, il percorso era accidentato: burocrazia, tempi incerti, difficoltà economiche. Oggi qualcosa cambia. Con un decreto firmato il 16 maggio dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il quadro normativo si semplifica e si potenzia, dando nuovo slancio a un progetto che incrocia ambiente, economia e partecipazione.
Energia locale, impatto globale
Le Comunità energetiche non sono solo un’alternativa tecnologica. Sono una rivoluzione culturale. Producono energia pulita – solare, eolica, da biomasse – ma soprattutto producono legami, consapevolezza, autonomia. Non a caso l’Europa le ha messe al centro del Green Deal, indicando nel consumo collettivo e locale una delle chiavi per ridurre le emissioni e la dipendenza energetica.
Con il nuovo decreto, queste realtà avranno una marcia in più: tempi di realizzazione più flessibili, possibilità di ottenere un anticipo fino al 30% del contributo a fondo perduto e l’ampliamento dei soggetti ammessi agli incentivi (estende l’ambito della misura finanziata dal Pnrr ai Comuni con popolazione inferiore ai 50 mila abitanti, mentre prima il limite era 5.000). Una risposta concreta a chi finora guardava alle Cer con interesse, ma restava al palo per mancanza di risorse iniziali o per timore delle incertezze normative.
Un motore per territori fragili
C’è un altro aspetto che vale la pena sottolineare. Le comunità energetiche servono in modo particolare dove c’è più difficoltà: nei piccoli Comuni, nelle aree interne, nei luoghi abituati a fare i conti con la marginalità. Ed è proprio lì che si concentra il contributo a fondo perduto fino al 40% per la realizzazione degli impianti, previsto dal Decreto CER n. 414/2023. Un modo per rilanciare il tessuto sociale ed economico in crisi partendo dall’energia.
Perché una Cer è anche questo: uno spazio di incontro, un laboratorio di cittadinanza attiva, un investimento condiviso. Dove i risparmi in bolletta non sono solo numeri, ma la dimostrazione che un’altra economia – collaborativa, circolare, rigenerativa – è possibile.
L’Italia alla prova della maturità energetica
Fino a pochi anni fa, l’idea che i cittadini potessero diventare produttori di energia era vista come un’utopia. Oggi, grazie anche alle tecnologie diffuse e accessibili, è realtà. Il fotovoltaico sui tetti, i sistemi di accumulo, le reti intelligenti stanno cambiando il paesaggio energetico. Ma senza norme chiare tutto rischiava di impantanarsi.
Certo, non tutto è risolto. Restano alcuni nodi da sciogliere, primo fra tutti quello legato ai limiti di potenza degli impianti. Attualmente la soglia massima per accedere agli incentivi è fissata a 1 MW, un vincolo che rischia di penalizzare le comunità più ambiziose o i contesti urbani ad alta densità energetica. Diverse realtà chiedono di alzare quel tetto, per permettere alle Cer di crescere in scala e diventare davvero competitive. È una questione aperta, su cui il confronto tra Governo, Regioni ed enti locali è ancora in corso. Ma il nuovo decreto fa un altro passo avanti in una direzione ambiziosa.
L’obiettivo delle Cer è infatti un cambio di paradigma. Non solo meno CO₂, ma più democrazia energetica. Non solo risparmio, ma redistribuzione. In un tempo segnato da crisi multiple – climatica, sociale, economica – questa è forse la risposta più sensata: costruire insieme ciò che da soli non possiamo ottenere.