Nella Giornata dell’Ambiente arriva la proposta di rilanciare la conservazione partendo dalla terra su cui poggiamo i piedi. Cioè dal carrello della spesa. È il messaggio della campagna “Sosteniamo l’agricoltura” promossa da NaturaSì, la principale catena di distribuzione del biologico in Italia, che riporta l’attenzione su un tema cruciale ma spesso trascurato: il prezzo del cibo.
Negli anni ’70, quasi un quinto del prezzo del pane finiva nelle mani dell’agricoltore. Oggi, quella quota è scesa al 4%. Un calo che non solo impoverisce chi lavora la terra, ma mina la sostenibilità dell’intero sistema agroalimentare. Per invertire la rotta, NaturaSì ha avviato una campagna di comunicazione: su alcuni prodotti – tra cui passata di pomodoro, asparagi, fragole, limoni, uova – viene indicato quanto del prezzo finale viene riconosciuto al produttore. Fino al 50%.
“Non diciamo che il nostro prezzo sia già giusto, ma è un punto di partenza – ha spiegato Fabio Brescacin, fondatore di NaturaSì – vogliamo mostrare quanto viene riconosciuto agli attori della filiera. Il consumatore ha diritto di sapere quanto viene pagato chi coltiva la terra, perché scegliere cosa mettere nel carrello è un gesto che può fare la differenza”.
Biologico: un modello che cura la terra
Dietro questa iniziativa c’è una visione più ampia: l’agricoltura biologica non è solo un metodo di produzione senza pesticidi, ma una risposta concreta alle sfide ambientali. “Il bio si fonda sull’agroecologia – ha ricordato Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio – ed è uno strumento efficace per proteggere suolo, biodiversità e clima, oltre che per garantire equità sociale”.
Il biologico, infatti, ha impatti positivi misurabili. Secondo uno studio della Commissione Europea, se pratiche biologiche come rotazioni e colture di copertura fossero estese su larga scala, l’agricoltura europea potrebbe tagliare le emissioni di gas serra fino a 31 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente l’anno. E non è tutto: queste tecniche migliorano la capacità del suolo di sequestrare carbonio, contribuendo così a mitigare il cambiamento climatico.
L’Italia, in questo contesto, è tra i leader europei. Conta circa 2,5 milioni di ettari coltivati a bio, quasi il 20% della superficie agricola utilizzata, con punte che superano il 30% in regioni come la Calabria. Un primato che non è solo statistico, ma rappresenta un laboratorio di pratiche agricole a basso impatto e alta resilienza.
Biodiversità: la vita invisibile che il bio protegge
Un altro vantaggio del biologico è la tutela della biodiversità, sia sopra che sotto il suolo. I campi bio ospitano in media il 30% in più di specie rispetto a quelli convenzionali: impollinatori, lombrichi, microrganismi essenziali per la fertilità del terreno. Questi organismi sono i veri ingegneri della natura e senza di loro non c’è produzione agricola che tenga.
Ma l’agricoltura intensiva e la chimica di sintesi hanno decimato questa vita invisibile. L’approccio biologico, al contrario, promuove l’equilibrio degli ecosistemi: niente erbicidi che sterminano i fiori spontanei, niente pesticidi che uccidono insetti utili, rotazioni che rompono i cicli delle malattie e arricchiscono il suolo.
“Il valore aggiunto dell’agricoltura sta nel suo rapporto diretto con la natura – ha dichiarato Ueli Hurter del Goetheanum – e il compenso per l’agricoltore bio include anche questo lavoro di cura ambientale”.
Il peso invisibile del cibo a basso costo
Quello che non si paga alla cassa si paga altrove. Secondo la Fao, il sistema agroalimentare globale nasconde costi ambientali e sanitari per oltre 13 mila miliardi di dollari all’anno. Il 73% di questi è legato a malattie croniche e inquinamento derivanti da un’alimentazione e una produzione insostenibili.
In questo senso, il “giusto prezzo” promosso dal bio non è solo una questione economica. È anche una scelta sanitaria, ecologica e sociale. Un modo per finanziare un’agricoltura che non inquina le falde, non avvelena l’aria, non desertifica i campi.
La campagna di NaturaSì, con il coinvolgimento di associazioni agricole come Coldiretti, CIA e Confagricoltura, vuole spingere le istituzioni a fare la loro parte: servono politiche strutturali che premino chi produce bene, non solo chi produce tanto.
Il contesto internazionale: il biologico avanza, ma servono scelte politiche
A livello globale, l’agricoltura biologica cresce: nel 2023 ha superato i 99 milioni di ettari nel mondo, con un’espansione significativa in America Latina e Africa. Le vendite di prodotti bio hanno raggiunto i 136 miliardi di euro. Ma la crescita non è uniforme né garantita. Servono filiere giuste, accesso al credito, formazione per i giovani, e soprattutto politiche coerenti.
L’Unione Europea ha inserito il bio tra i pilastri della strategia “Farm to Fork”, con l’obiettivo del 25% della superficie agricola entro il 2030. Ma senza strumenti fiscali adeguati e una riforma della Pac che premi davvero la sostenibilità, il rischio è che resti un traguardo sulla carta.