Un occhio solo, nessuna orecchia, corpi deformi. Gli agnelli di Acerra, vent’anni fa, furono il simbolo dell’orrore ambientale della Terra dei Fuochi. Mangiavano erba contaminata, bevevano acqua avvelenata, morivano o nascevano già condannati. Quelle immagini sconvolsero l’opinione pubblica, ma per chi viveva lì, non erano una sorpresa. Era la conferma che la terra sotto i loro piedi stava uccidendo.
Vincenzo e Mario Cannavacciuolo lo sapevano. Pastori, generazioni a contatto con il suolo, con gli animali, con il ciclo della natura. Fu Vincenzo il primo a denunciare, il primo a dire: guardate. Guardate cosa sta succedendo. Per questo pagò un prezzo altissimo: morì di cancro al polmone nel 2007. Mario, invece, non si arrese. Continuò a lottare, con il figlio Alessandro, e fondò il Comitato Terra dei Fuochi. Insieme portarono avanti la battaglia legale, riuscendo a far condannare gli imprenditori responsabili di aver trasformato la Campania in una discarica clandestina.
E oggi, dopo decenni di silenzio e omertà, la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo arriva come un colpo di martello. Lo Stato italiano è stato riconosciuto colpevole di non aver protetto la salute dei suoi cittadini, di aver chiuso gli occhi mentre rifiuti industriali venivano sotterrati senza controllo.
“Questa sentenza è soprattutto per mio padre e mio zio”, dice Alessandro Cannavacciuolo. “Hanno finalmente avuto giustizia, ma i morti non ce li ridarà nessuno”.
Le pecore vennero sequestrate, le analisi confermarono ciò che loro già sapevano: nel sangue degli animali, così come in quello dei fratelli Cannavacciuolo, erano presenti alte concentrazioni di diossina e altre sostanze tossiche. Era il veleno di anni di sversamenti illegali, il marchio indelebile di un territorio violato.
Eppure, la battaglia non è finita. Perché le sentenze non riportano in vita le persone, non purificano l’aria, non bonificano i campi. Ma questa è una vittoria che segna un prima e un dopo. E chi ha combattuto per la verità, oggi può dire di non aver lottato invano.