15 Marzo 2025
/ 14.02.2025

Diamo una mano al buon senso

Ci sono due parole che Trump ripete spesso e che tendono a essere sottovalutate: common sense. Durante il discorso che ha inaugurato la sua seconda presidenza, Trump ha invocato una “rivoluzione del common sense“. Appello che è stato reso in italiano come “rivoluzione del buon senso”. In realtà in questo caso la traduzione autentica è un’altra: “rivoluzione del senso comune”. E tra le due espressioni c’è una differenza determinante.

Il “senso comune” indica un insieme di credenze, idee e conoscenze condivise da una comunità o da una società in un determinato periodo storico. Ad esempio, nel sedicesimo secolo era convinzione diffusa che i bagni caldi fossero pericolosi perché potevano allargare i pori della pelle aprendo la via a morbi esiziali: per il senso comune lavarsi era un’operazione ad alto rischio. E per molti secoli una donna esperta di erbe e capace di usarle per guarire alcune malattie è stata – per il senso comune – una strega, da cui solo un rogo vivace poteva metterci al riparo.

Anche il “buon senso” ha delle oscillazioni, si sedimenta nel tempo. Ma il suo aspetto centrale è la capacità di giudicare in modo equilibrato, razionale e pratico; si basa sul ragionamento e sull’esperienza. Tende a una maggiore stabilità e in alcuni casi collide con il buon senso. Il processo di Norimberga è stato l’affermazione del buon senso contro il senso comune dell’esercito nazista.

Nei periodi più fortunati senso comune e buon senso tendono a sovrapporsi. Oggi viviamo in un’epoca in cui i due concetti tornano a divergere: il common sense invocato da Trump non ha niente a che vedere con il buon senso.

Prese isolatamente le proposte di annettere il Canada, conquistare la Groenlandia e occupare Panama potrebbero sembrare battute provocatorie. Ma la somma fa la differenza. Anche perché nel conto vanno messe la negazione delle conoscenze faticosamente accumulate dalla comunità scientifica (“il riscaldamento climatico è una bufala”); la progressiva limitazione della libertà d’espressione e dei diritti civili (nei siti federali le conclusioni dei climatologi vengono epurate); l’innalzamento della soglia dell’indecenza accettata (la proposta della riviera con gli ombrelloni sopra il cimitero di Gaza). Questo processo, in sé pericoloso, è straordinariamente accelerato dal controllo degli strumenti digitali che plasmano il senso comune con una rapidità, un’efficienza e una radicalità fino a ieri impensabili.

L’enorme quantità di denaro e di potere investiti in questo rimodellamento del senso comune sono impressionanti e potrebbero far pensare che per il buon senso la partita sia persa. Eppure, ci sono due fattori che fanno sperare il contrario. Il primo è che lo stravolgimento del senso comune incontra inevitabilmente una resistenza: la realtà. Se anche negli Stati Uniti l’espressione “cambiamento climatico” venisse bandita – oltre che nei siti federali – anche nelle scuole e negli uffici, i morti per uragani e incendi non diminuirebbero, anzi continuerebbero con ogni probabilità ad aumentare seguendo l’andamento del rischio climatico . Per quanto tempo i cittadini degli States accetteranno di veder crollare la sicurezza delle loro vite e il valore delle loro case lungo la sponda atlantica (per gli uragani) e nei luoghi siccitosi (per gli incendi)?

E poi c’è il secondo fattore: nel mercato globale il vuoto non esiste. Se gli Usa concentreranno le loro risorse sull’economia del secolo scorso, altre potenze economiche occuperanno lo spazio in cui si forniscono servizi e beni desiderabili in un mondo in cui la sicurezza climatica diminuisce e quella sanitaria potrebbe crollare assieme alle istituzioni che hanno fatto finora da baluardo come l’Oms boicottato da Trump.

Alla fine, il buon senso prevarrà. Se gli diamo una mano.

 

 

CONDIVIDI

Continua a leggere