25 Marzo 2025
/ 24.09.2024

Padroni del lavoro sommerso

Tra commercio, ristorazione e attività professionali, si contano oltre 2,3mln di lavoratori irregolari, solo nel settore servizi. La popolazione impegnata a svolgere attività per altri in nero, o sotto forme contrattuali ambigue e senza garanzie, rappresenta il 12% della forza lavoro. Una piaga culturale di cui l’Italia fatica a liberarsi.

Tra commercio, ristorazione e attività professionali, si contano oltre 2,3mln di lavoratori irregolari, solo nel settore servizi. La popolazione impegnata a svolgere attività per altri in nero, o sotto forme contrattuali ambigue e senza garanzie, rappresenta il 12% della forza lavoro. Una piaga culturale di cui l’Italia fatica a liberarsi.

Quando si parla delle sfide legate al lavoro nel nostro Paese, subito ci viene in mente la lotta alla disoccupazione, le richieste dei giovani (e non solo) per un salario minimo e una retribuzione equilibrata. Ma c’è anche un altro aspetto che ci riguarda da vicino, ed è il fenomeno del lavoro sommerso che, secondo le stime Istat, coinvolge quasi 3 milioni di lavoratori, pari al circa 12% della forza lavoro. Numeri, questi, che raccontano già da soli la drammaticità di un problema le cui ripercussioni si propagano non solo sull’economia, ma anche sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

 Ma che cos’è il lavoro sommerso? In linea generale, rientrano in questa definizione principalmente due categorie, il lavoro nero – con l’assenza totale di contratti, tutele e contributi versati – e il lavoro grigio, che presenta invece una parvenza di regolarità, ma nasconde alcune anomalie, come per esempio contratti parziali, finte collaborazioni autonome o appalti irregolari. Considerato singolarmente, il settore dei lavori domestici rappresenta sicuramente un’area critica, con oltre il 50% dei lavoratori impiegati in questo campo che opera in condizioni di irregolarità. A voler però accorpare più sottocategorie, uno dei settori più colpiti è rappresentato da quello dei servizi: tra commercio, ristorazione e attività professionali, si contano oltre 2,3 milioni di lavoratori irregolari. Ancora, nelle aree rurali e tra i lavoratori migranti, un’alta percentuale di lavoro nero o grigio si registra nel settore agricolo. Tutti mestieri, questi, che sono inquadrati per lo più con contratti part-time e caratterizzati da stagionalità, il che li rende più vulnerabili a questo tipo di abusi.

Oltre a sottolineare l’urgenza di una battaglia contro lo sfruttamento, già intrapresa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che con il suo Piano Nazionale per la Lotta al Lavoro sommerso sta attuando misure ad hoc per contrastare il fenomeno, questa situazione dovrebbe portarci a riflettere sulle sue conseguenze. Da una parte, infatti, il lavoro irregolare sottrae risorse preziose all’economia nazionale, con entrate fiscali e contributive che si riducono e la concorrenza leale che viene messa in discussione. Dall’altra i diritti delle persone sfruttate, che si ritrovano senza tutela, senza accesso a ferie, malattie, pensioni. Diritti che, spesso per disperazione, vengono fatti passare in secondo piano dai lavoratori stessi. Perché alla fine del mese servono soldi. Perché le bollette vanno pagate. Perché la spesa va fatta. Ed ecco che, sotto questa luce, il lavoro sommerso non è solo un problema di legalità, ma anche una questione di giustizia sociale.

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