19.01.2025
Ambiente, Scienza e tecnologia
Esistono dissalatori che non impattano sull’ambiente?

Gli impianti che possono ricavare acqua dolce dal mare consumano troppa energia, ma fuori dall’Italia gli escamotage non mancano. Non sempre è fattibile evitare di risolvere un problema, creandone un altro. Su questo al MIT hanno le idee chiare. Panoramica su soluzioni all’avanguardia.
Si potrebbe pensare alla proverbiale coperta troppo corta, che nel tentativo di risolvere un problema ne crea uno nuovo, ma la realtà è che non è così. L’Italia è da anni tra i Paesi alle prese con l’emergenza idrica, molto pesante per la vita dei comuni cittadini ma addirittura devastante per l’agricoltura. Uno dei possibili rimedi è costituito dai dissalatori (o desalinizzatori), impianti che permettono di ricavare acqua potabile dal mare. Ciò che frena il nostro Paese sono i costi, ma anche il pesante impatto ambientale di questa soluzione. L’ultimo aspetto, però, altrove è già stato affrontato e anche risolto.
Partiamo da alcuni numeri. In Spagna i dissalatori sono circa un centinaio (un record in Europa), e una delle tecnologie più utilizzate è quella dell’osmosi inversa. Si applica per esempio nel più grande impianto del Continente, a Torrevieja, dove il Governo iberico ha approvato un investimento da 89 milioni di euro per aumentare del 50% l’acqua potabile prodotta dalla struttura. Il cui funzionamento prevede la pressione dell’acqua marina attraverso una pompa, per poi attraversare una membrana dove i sali vengono filtrati.
Impianti di dissalazione a osmosi inversa esistono anche in Italia, ma il loro utilizzo è ridotto all’osso: questo perché i costi di gestione sono altissimi e il procedimento consuma molta energia, che oltretutto non si può mai interrompere. Parliamo quindi di tantissima elettricità, che inevitabilmente proviene anche da fonti fossili. E, quand’è così, la soluzione alla carenza idrica diventa un problema per la questione climatica e ambientale. A meno che non si adottino tecnologie già attive in altri Paesi.
In Algeria, dove i piani di spesa per la costruzione di nuovi dissalatori toccano quota 5,4 miliardi di dollari, si vuole per esempio sfruttare il gas naturale. Con il vantaggio, però, che tale risorsa è presente in abbondanza sul territorio.
Ma esistono anche altre soluzioni: proprio la Spagna ha fissato un tetto di spesa di 600 milioni di euro per impianti legati ai parchi fotovoltaici, mentre a Dubai si sta lavorando a un maxiprogetto basato sull’energia solare.
Quest’ultima risorsa va studiata con attenzione, dato che i desalinizzatori a osmosi inversa richiedono un flusso costante di energia, condizione vanificata dalla variabilità del meteo. Per questo il MIT (Massachusetts Institute of Technology) è al lavoro dallo scorso autunno su un nuovo sistema di dissalazione che si alimenta a energia solare, ma in grado di regolarsi in automatico a seconda di quanta luce è disponibile in ogni momento della sua attività.
Soluzioni all’avanguardia, adottabili in futuro anche in un territorio come il nostro, che nel 2022 e 2023 ha dovuto affrontare importanti razionamenti d’acqua e nell’ultima estate ha vissuto vere e proprie crisi in Abruzzo, Puglia e sulle Isole maggiori. Un rilancio è possibile, dato che la Sicilia ha ottenuto il via libera per riaprire gli impianti di Porto Empedocle, Paceco e Gela, con un investimento complessivo di 100 milioni di euro. Ma il lavoro da fare è ancora tanto.